«Ciao Sergiu, non dovevi morire così»

Mercoledì 13 Giugno 2018
«Ciao Sergiu, non dovevi morire così»
L'ULTIMO SALUTO
PADOVA Alla fine Sergiu ha ritrovato i colori, gli odori, i suoni della sua terra, li ha trovati dentro una chiesa ortodossa dipinta d'oro tra l'incenso e le voci salmodianti di due sacerdoti del patriarcato di Mosca. Un lembo di Moldavia a ridosso della pista dell'aeroporto, un piccolo tempio a croce greca, dove amici, delegati sindacali, colleghi dell'operaio rimasto ustionato in modo fatale il 13 maggio alle Acciaierie Venete di riviera Francia, si sono stretti attorno alla moglie Rodica e alla figlia Vittoria. «Non si può morire di lavoro» ha detto visibilmente commosso il prefetto Renato Franceschelli. «No, non si può» ha ripetuto più volte il sindaco Sergio Giordani con un filo di voce.
LA FAMIGLIA
Era un gran brav'uomo Sergiu Todita, 40 anni ad agosto, arrivato dalla piccola nazionale balcanica una quindicina d'anni fa. A Padova aveva trovato lavoro, comprato casa e messo su famiglia: la moglie, sua coetanea, e la figlia tredicenne. La luce dei suoi occhi. «Siamo due gocce d'acqua» soleva ripetere pieno di fierezza e orgoglio. Per lei, per darle un avvenire migliore dal suo, aveva fatto corsi su corsi, per accrescere la propria professionalità, ed era sempre pronto ad accettare i turni più disagevoli.
Come domenica 13 maggio quando insieme all'amico romeno Marian Bratu e altri due colleghi stava seguendo il percorso di un siviera piena di acciaio fuso. Il contenitore si rovescia, la colata arroventa l'aria, un soffio infernale investe i quattro. Un collega cerca subito di prestargli aiuto, lui con un filo di voce lo scansa: «Vai da Marian, lui sta peggio di me». Poi prende in mano il cellulare e chiama la moglie per rassicurarla. «Mi stanno portando in elicottero all'ospedale di Cesana, non ti preoccupare». Qui, al reparto grandi ustionati rimane tra la vita e la morte fino al 5 giugno, quando a mezzanotte cessa di vivere. Ieri sono accorsi a salutarlo operai di varie fabbriche padovane, dirigenti sindacali di Cgil, Cisl, Uil, colleghi, amici sia italiani che moldavi, membri di una comunità tanto folta quanto laboriosa e discreta, 5mila persone nella sola Padova, altre 8mila in provincia.
LA CHIESA ORTODOSSA
Appuntamento in fondo a via Santi Fabiano e Sebastiano, in una vecchia chiesa cattolica dell'800 dismessa dalla Curia e trasformata in tempio ortodosso: icone ovunque, pareti dipinte in giallo oro come i paramenti dell'officiante, padre Dimitrio, venuto da Parma per sostituire Vassilij, impegnato negli esercizi spirituali sul monte Athos. Poco prima dell'inizio della cerimonia arrivano il prefetto Franceschelli, il sindaco Giordani, il questore Paolo Fassari, il comandante provinciale dei carabinieri Oreste Liporace. Il piccolo spazio è in grado di contenere forse 200 persone, altrettante devono rimanere fuori, mentre padre Dimitrio inizia a salmodiare gli inni per i defunti: molto elaborato e interamente cantato il rito ortodosso, ripetuto in romeno e italiano. Rodica è affranta dal dolore, singhiozza silenziosamente, la figlia trova la forza di raggiungerla solo a cerimonia iniziata, anch'essa molto composta, entrambe sembrano chiuse in una bolla di dolore. Dopo l'omelia di padre Dimitrio, «Sergiu era un buon cristiano, frequentava con assiduità la nostra chiesa», il saluto della città, prima da parte del prefetto «Sergiu è venuto per contribuire con il suo lavoro alla crescita nel nostro e del suo Paese. Quel lavoro non doveva ucciderlo». Aggiunge Giordani: «Il dolore è di tutta la comunità padovana. Siamo vicini alla famiglia, faremo quel che potremo per sostenerla». Quindi prende la parola Stefano Lazzarin, il collega presente in fabbrica al momento dell'incidente, riesce a biascicare poche parole poi, sopraffatto dal dolore, deve lasciare il microfono. Inaspettatamente fende la folla un bimbo di 7, 8 anni al massimo, è il figlio di Marian, rimasto ferito con Todita nello scoppio della siviera. Suo padre è ancora agonizzante in ospedale, ma lui trova la forza, con voce fiebile ma ferma, di ringraziare Sergiu per quel gesto, quando all'arrivo dei soccorsi ha detto «Prima lui». Un piccolo grande uomo, ringrazia un gran brav'uomo.
Enrico Silvestri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci