Anoressia, incubo già a 13 anni

Giovedì 21 Settembre 2017
Anoressia, incubo già a 13 anni
Carne ed ossa: una discesa all'inferno che avviene sempre prima. Gli studi svolti dal Centro regionale per i disturbi del comportamento alimentare allocato nell'Azienda ospedaliera di Padova confermano che l'età di esordio, in modo particolare dell'anoressia nervosa, sta progressivamente e paurosamente diminuendo. Nelle nuove generazioni si è spostata dai 17 anni dei nati negli anni Settanta e Ottanta, ai 14 o 15 anni dei nati negli anni Novanta e Duemila e sono sempre più frequenti i casi con inizio addirittura sotto i 13 anni. Le motivazioni? Difficile indicarle con certezza. Dietro anoressia, bulimia, binge eating disorder potrebbero essere chiamati in causa fattori biologici e ormonali (l'età del menarca che si sta abbassando) come fattori psicologici e sociali (precocizzazione dei contatti con internet e i mass media). Le ricerche sulla prevalenza dei disturbi dell'alimentazione indicano che nella popolazione femminile la frequenza è circa dello 0,3-0,5% (un caso ogni 200-300 persone) per l'anoressia nervosa e dell'1-2% (uno ogni 50-100) per la bulimia nervosa. Se analizziamo però solo i dati della popolazione in età adolescenziale e giovanile, le percentuali sono purtroppo più alte: si stima che nel corso della vita, fino al 2% delle donne si ammali di anoressia nervosa e il 4% di bulimia nervosa. Inoltre, quasi il 10% delle ragazze in età a rischio (tra i 15 e i 25 anni) soffre di un disturbo alimentare parziale o subclinico, in cui cioè sono presenti solo alcuni dei criteri pur presentando un quadro che necessita di attenzione da parte dei terapeuti.
Se ne è parlato ieri in Aula Magna del Bo dove si è tenuto il convegno Clinica e ricerca nei disturbi dell'alimentazione a Padova dagli anni 80 ad oggi: la giornata di studi è stata organizzata dal prof. Paolo Santonastaso del Dipartimento di Neuroscienze a conclusione del suo lungo percorso accademico. «Di questi 40 anni afferma Santonastaso mi porto sicuramente dentro il rapporto con i pazienti, l'incontro personale con una sofferenza molto particolare, e la soddisfazione, quando accade, di aiutare ad uscire da una situazione difficile. Parlare di disturbi dell'alimentazione significa comprendere il dolore delle persone e delle loro famiglie, significa anche interessarsi al loro rapporto con il mondo circostante, all'idea e alla cultura del cibo, al problema di un vissuto corporeo reso complesso e conflittuale dal confronto e dal rispecchiamento nelle immagine mediatiche».

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