Nel giorno del dolore il prato è un obitorio

Venerdì 26 Agosto 2016
AMATRICE - «Sì, è lui». «No, non è lui». Nelle tende adibite a obitorio è il giorno della processione del riconoscimento. Una folla di persone in lacrime o impietrite dal dolore, ancora impolverate perché in quella polvere da terremoto c'è il ricordo del momento in cui i loro cari sono morti o ben vestita per rispetto del proprio lutto e di quello degli altri, vaga lungo il pratone. Qui dove sono allineate, a volte nelle tende e a volte all'aria aperta, le buste bianche che contengono i defunti.
Sembra una folla impazzita dal dolore questa dei familiari in cerca dell'ultima carezza da dare al figlio schiacciato dal soffitto in quella maledetta notte alle 3,37 o dell'ultimo bacio da regalare a un parente a cui si è voluto bene. C'è chi, per trovare la salma che cerca, entra in tutte le tende. «No, in questa Marcello non c'è. E in quest'altra neppure. Ma devo trovarlo».
Qualcuno singhiozza, qualcuno prega, qualcuno prova a parlare ma non ce la fa, qualcun altro ascolta i lamenti degli altri e i rumori delle chiese che - poco distanti da questo obitorio campestre - stanno cadendo ancora e delle case che non smettono di franare. Chi inciampa, chi a un certo punto della ricerca si blocca sfiduciato e si stende a terra: «Vorrei morire anch'io». Ora arriva un'ambulanza che porta una nuova salma, ora esce un'altra ambulanza che porta via un corpo appena riconosciuto dai parenti. Una signora sui 60 si fa prendere dal dubbio: «Non è che non riesco a riconoscere mio nipote, che dovrebbe essere qui, perché sono passati già tre giorni e il suo corpo è già cambiato?».
I cadaveri nelle buste sono quasi duecento. La folla è più del doppio. E a piccoli gruppi, già dalle prime ore dell'alba ha cominciato ad arrivare quaggiù per il triste rito del riconoscimento di chi non c'è più. All'inizio, i cordoni di medici e polizia riescono a contenere la pressione del dolore che vuole entrare nelle tende, aprire ogni sacca per poter dire: eccolo è lui, e riempire quel corpo senza vita di un mare di affettuosità e di lacrime o magari di sorrisi per chi (pochi) se n'è già fatto una ragione e non può che constatare, come una ragazza che ha perduto il ragazzo: «Una strage, è stata una strage....».
E ora l'atmosfera è da Spoon River, si raccontano esistenze spezzate. Lo smart-phone, sulle mani dei più, funge da testo. «Lo vedete questo bel ragazzo? Era mio figlio, guardate quanto era contento in questa foto, appena cinque giorni fa, prima di tornare dal mare e di venire a morire quassù». Si tratta del pianto di una madre. Ha trovato il figlio qui, dopo averlo cercato nel garage di una scuola alberghiera che fino a poche ore prima è stato il luogo di raccolta delle salme: un tappeto di morti in mezzo alle crepe e all'umidità, un posto di squallore indescrivibile. Poi quando il numero delle salme è cresciuto, è diventato obitorio il pratone del centro estivo don Mingozzi, annesso all'omonima casa di riposo non crollata ma quasi, e sull'erba dove i bimbi scorrazzavano prima dell'apocalisse ora alcuni di loro sono chiusi e imbustati nei sacchi bianchi. E a volte, queste vite spezzate non hanno genitori che li possano piangere.
Come nel caso della famiglia Torroni. È stata sterminata tutta: padre, madre, figlio di due anni e la figlia di otto mesi. C'è uno zio dei due bimbi, venuto a portarseli via. Racconta: «Ho perduto in quella notte infernale anche altri tre familiari. In tutto, sto a meno sette». Ma a suo modo è fortunato, nessuno dei suo cari rientra in quei 120 corpi ancora senza identità, tanti sarebbero secondo il sindaco di Amatrice che soltanto un numeretto hanno come segno di riconoscimento. Intanto si sente un grido di gioia in questa valle di mestizia: «Gabriele è vivoooo!!!». È stato trovato infatti, all'ospedale di Rieti, senza coscienza ma non in pericolo di vita, un giovane di una frazioncina di cui si erano perse le tracce.
Le vittime ancora senza identità vengono fotografate dai medici sotto le tende, poi qualcuno dei sanitari si avvicina alla folla dei parenti e mostra le immagini: «È un vostro familiare questa persona? O almeno sapreste dirci chi è?». La risposta per lo più è negativa. Ma l'operazione e la richiesta, dall'alba in poi, si ripeteranno svariate volte, anche con esiti migliori. In uno dei sacchi c'è una ragazza e così si parla di lei: «Poverina, era pure incinta».
C'è una coppia che ha perduto i due figli. Erano ad Amatrice dai nonni e i genitori sono arrivati di corsa da Milano per vederli l'ultima volta. Gli “psicologi dell'emergenza”, collegati alla Protezione civile, si avvicinano subito alla coppia e cercano di consolarla, anche se è inutile.
M.A.

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