Alle 5 del mattino, dopo ore insonni sotto la tenda blu della protezione civile,

Martedì 30 Agosto 2016
Alle 5 del mattino, dopo ore insonni sotto la tenda blu della protezione civile,
Alle 5 del mattino, dopo ore insonni sotto la tenda blu della protezione civile, Giuseppe Bucciarelli, 73 anni, cardiopatico, è uscito all'aria aperta, ha guardato la rocca di Arquata, su in alto, e gli è venuta in mente la canzone della sua giovinezza: «Paese mio che stai sulla collina, disteso come un vecchio addormentato». S'è messo a canticchiarla da solo, e ha deciso che lui sotto la tenda non ci sarebbe tornato più. Né stanotte, né mai. Perché per non annegare nella vita da sfollato, dice, non bisogna vivere da sfollati. Quelli che erano qui in vacanza se ne sono quasi tutti andati, ormai, sperando che lontano da questa valle dolente il terremoto possa diventare solo l'orribile ricordo di una notte. Quelli che qui ci abitano, invece, col terremoto ci devono fare i conti in ogni istante e chissà per quanti mesi, quanti anni ancora. Esistenze stravolte in pochi secondi, e per sempre. Vite che devono ricominciare da capo, e nessuno sa come. Prima erano impiegati, pensionati, muratori, disoccupati, studenti. Adesso il loro mestiere è quello degli «sfollati».
C'è chi dorme in macchina e chi la sera va ad Ascoli o a San Benedetto del Tronto da conoscenti per ritornare su all'alba dell'indomani. C'è chi passa la notte nelle tende della protezione civile, ma poi di giorno si trova qualcosa da fare o qualche altro posto dove stare per non soffocare nel caldo nelle tende arrostite dal sole, ma anche per non farsi prosciugare l'anima da giornate senza uno scopo, senza un senso, se non quello di provare a immaginare come sarà la nuova vita: «Aspettiamo che venga sera» dice Bucciarelli «E domani faremo lo stesso».
A pranzo sotto il tendone della Croce Rossa di Borgo Arquata servono pasta al sugo, spezzatino e una fetta di cocomero. Qualcuno va a mangiare sotto un albero. Altri chiacchierano coi volontari intorno ai grandi tavoli della mensa. E i discorsi vanno sempre a finire lì: cosa sarà di noi? Renzi ha promesso che per l'inverno saranno pronte le casette di legno, magari si potrà ricostruire una parvenza di vita quotidiana. Ma nessuno riesce a immaginare il proprio avvenire imprigionato dentro le pareti spoglie di un bungalow.
Il dopopranzo dello sfollato Domenico Cappelli si consuma su una panchina, insieme con la moglie. Sono pensionati, per loro l'incognita del domani è legata al dove. Dove abiteranno? Nella loro casa ricostruita? O in un posto nuovo, magari lontano da qui? Ma le preoccupazioni vere sono per i due figli, che hanno una lavoro e una famiglia. «D'accordo, entrambi il posto non lo perderanno. Ma se i bambini non potranno andare a scuola qui se ne andranno altrove. E anche per noi non ci sarebbe più nessuna ragione di rimanere».
La scuola del paese non è crollata, ma è stata comunque martoriata dalle scosse: totalmente inagibile. Il vescovo di Ascoli ha assicurato al sindaco che la Caritas entro fine settembre porterà dei prefabbricati con le aule per scuola materna, elementari, e medie. «Comprendendo tutte le frazioni abbiamo 120 alunni. Se non avranno modo di andare a scuola qui le loro famiglie li porteranno lontano. E significa che questa terra sarà destinata a scomparire. Altro che ricostruzione».
Al campo di Pescara del Tronto, sotto il tendone-mensa, una signora si cimenta con un puzzle, ma non riesce ad andare avanti: «Non riesco a concentrarmi, la mente vola via di continuo. Lo scriva: mi chiamo Maria Teresa Prandi, e non vorrei mai essere nata». Racconta che va nella tendo dello psicologo almeno un paio di volte al giorno: «Mi trattano benissimo, mi hanno pure misurato la pressione che non l'avevo mai misurata in vita mia. Si mangia bene, in tenda dormo tranquilla, ma non posso certo pensare che la mia vita sia questa».
La figlia è in Abruzzo dal padre (sono separati). Maria Teresa ha provato a portare la madre nella tendopoli. Non c'è stato verso: vuole stare nella sua casa di frazione Trisungo malgrado i tentativi dei vigili del fuoco di dissuaderla. «Dice che alla sua età piuttosto che fare la vita del profugo preferisce morire». Gli anziani vivono coltivando i ricordi. Ma senza una casa non ci sono ricordi. Per cui molti passano la giornata davanti all'uscio di abitazioni semidiroccate, prima di tornare in tenda la sera. A malincuore.
Il sisma ha ucciso anche le piccole abitudini quotidiane. La vita da sfollato avviene in pubblico, non c'è intimità. Che a dirlo sembra sopportabile, ma a viverlo è una tortura. Alessandro quando deve andare in bagno va a casa, anche se della sua casa è rimasto poco. «Poi capita che magari sul più bello arriva una scossa e te ne devi scappare fuori con le braghe in mano». Gli è successo ieri, e lo racconta ridendo perché è uno che la prende facile. Poi si fa serio ed elenca: mangiare cibi scelti da altri, dormire con estranei, non poter nemmeno baciare tua moglie in pace. «Non ci si abitua a una vita così».
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