Terrorismo, il procuratore Roberti: «La caduta di Raqqa favorisce gli infiltrati»

Lunedì 30 Ottobre 2017 di Sara Menafra
Terrorismo, il procuratore Roberti: «La caduta di Raqqa favorisce gli infiltrati»
Procuratore Roberti, lei veste il doppio incarico di capo della procura nazionale antimafia e antiterrorismo. L’instabilità in Libia quanto può aumentare i rischi per il nostro paese?
«La situazione in Libia è perennemente mutevole. Non possiamo dare per acquisito neppure il dato della diminuzione delle partenze che abbiamo registrato in questi mesi, finché non si risolve la questione di fondo del controllo e della stabilizzazione del paese».

Romano Prodi su questo giornale ha parlato degli interessi di altri paesi europei a sostenere differenti leader. Pressioni che possono ulteriormente destabilizzare il paese. Qual è la sua opinione?
«Mi pare evidente che le potenze europee ed occidentali dovrebbero muoversi insieme, per stabilizzare il paese e assicurare piene condizioni di rispetto dei diritti umani per i migranti che vi vengono trattenuti. Su questo aspetto hanno un’enorme responsabilità anche le Nazioni unite che poco hanno fatto per premere sulle autorità locali e garantire entrambi gli aspetti. In questo quadro alcuni attori europei agiscono mettendo in primo piano i propri interessi e l’Italia si trova ad essere l’unico paese che punta a stabilizzare l’area con sforzi comuni e a chiedere il rispetto dei diritti umani. L’accordo di cooperazione giudiziaria che abbiamo firmato con le autorità libiche metteva la questione al primo punto, ma ora bisogna premere perché quell’intesa sia rispettata».

L’aumento dell’instabilità in Libia ha un impatto sull’aumento delle partenze dalle coste tunisine?
«Al momento è un’ipotesi, non ci sono dati certi. Sicuramente, c’è una preoccupazione relativa alle cosiddette imbarcazioni fantasma che arrivano sul nostro territorio evitando i controlli a cui vengono sottoposti i migranti. Un canale che potrebbe essere usato da criminali di ogni genere». 

Alcuni analisti parlano di qaedizzazione dell’Isis dopo le sconfitte sul campo, dicono che potrebbe puntare con maggior forza sulla cosiddetta guerra asimmetrica, ovvero sugli attentati. Lei cosa ne pensa? 
«Certamente è una prospettiva fondata. Ecco perché il pericolo per il nostro paese è molto alto, come del resto per altri paesi europei. Abbiamo segnali molto chiari su questo anche in recenti rapporti di polizia e da fonti internazionali. E non è solo legato ai returnee. Il rischio è alto perché è legato alla situazione internazionale e al proselitismo, fatto soprattutto su internet. Guardi, le voglio dire tutto quello che penso: il terrorismo è, innanzitutto, una grande questione criminale. Ci sono gruppi criminali che cercano spazi di potere politico ed economico-finanziario attraverso il terrorismo. Questi gruppi criminali fanno proselitismo e riescono ad aggregare soprattutto persone in difficoltà economiche o con problemi vari, anche di tossicodipendenza o disturbi mentali, e li mandano a immolarsi. Ma la verità è che il terrorismo è uno strumento di potere, sennò non si capirebbe il finanziamento del terrorismo da parte di alcuni stati». 

È un fenomeno più che complesso. Come si combatte?
«La questione interroga soprattutto la politica. Quello che posso fare dal mio punto di vista, limitato rispetto alla situazione, è soprattutto rafforzare il canali di cooperazione giudiziaria e coordinamento». 

L’Isis ha usato anche il traffico di migranti come canale di finanziamento?
«L’Isis si comporta come uno stato mafia: si finanzia con traffico di stupefacenti, armi, opere d’arte e migranti. Uno stato mafia che è ancora lontano dall’essere sconfitto».

Non tranquillizza il fatto che la Tunisia abbia fornito alla jihad il maggior numero di militanti pro capite...
«I soggetti militanti dall’Isis dispersi dopo la disfatta sul territorio prima in Libia e poi anche in Siria potrebbero e possono approfittare dei flussi migratori per arrivare più facilmente in Europa. Con i flussi migratori arriva di tutto e quindi anche i terroristi, specie dopo la caduta di Raqqa nei giorni scorsi. È un’ipotesi concreta anche se non verificata. Del resto, l’attentatore di Berlino, Amri, così come quello di Marsiglia, Hannachi, erano arrivati in Italia attraverso i barconi. Ricordiamoci, però, che per combattere il terrorismo bisogna intervenire sui principali finanziatori, tra i quali paesi di primissimo piano in Medio oriente e per farlo ci vuole uno sforzo unitario della comunità internazionale». 

Lei è stato il primo procuratore nazionale antiterrorismo, ora il suo mandato è prossimo alla scadenza. Bilancio del passato e previsioni per il futuro? 
«Sono particolarmente soddisfatto dell’accelerazione data alla cooperazione giudiziaria, soprattutto internazionale. Ma mi auguro che in futuro i paesi europei che ancora cooperano poco, non mi faccia dire quali, capiscano l’importanza di unire gli sforzi».
 
Ultimo aggiornamento: 14:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA