Paolo, il tessitore

Lunedì 12 Dicembre 2016 di Mario Ajello
Paolo, il tessitore
Adesso, nel Palazzo romano, lo chiamano Er Fotocopia. Anche se il nomignolo non si addice affatto a un tipo come Paolo Gentiloni, che a suo modo è un unicum in contraddizione con la politica iper-spettacolarizzata e turbo-personalistica. A Milano invece nel cuore dell’impero di Berlusconi - che avrà molta voce in capitolo sulla legge elettorale e forse anche su altro - c’è Fedele Confalonieri che dice: «L’è un bravo ragazzo. Erano gli altri, non lui, che ci volevamo mettere in ginocchio».

Ai tempi del governo Prodi, quando Gentiloni era ministro delle Comunicazioni e lavorava alla riforma del sistema delle televisioni, definita «criminale e banditesca» dalla propaganda azzurra. In quel periodo, una sera, il 21 novembre 2007, Gentiloni e Berlusconi si trovarono a cena insieme, nella residenza dell’ambasciatore americano Ronald Spogli, a Villa Taverna. E così l’ex Cavaliere ricorda quella tavolata: «Era seduta accanto a me la moglie del ministro, Emanuela, donna simpatica e intelligente, e io dicevo agli altri ospiti: questa è la Gentiloni che preferisco». In realtà, Paolo Il Tessitore non si è fatto nemici neppure nel centrodestra e questa sua capacità di interloquire con tutti è ciò che lo rende rara avis nel burrascoso paesaggio politico italiano. 

L’ESTINTORE 
«E’ un estintore», dice di lui Roberto Giachetti, amico da una vita. Cioè? «Ma sì, quando parto in quarta, lui mi parla e mi convince a ingranare una marcia più prudente». L’Effetto Gentiloni agisce non solo sugli amici ma anche sugli avversari. Compresi quelli interni al partito. Dove è difficile trovare qualcuno che parli male del premier incaricato, ma con la sinistra del Pd lui proprio non si trova. Al punto che lui, allergico alle stilettate, a Bersani lo ha infilzato così e la ferita brucia ancora: «Quelli della Ditta sono paladini della Ditta solo quando la comandano loro». La sinistra old style a Gentiloni, renziano ante-litteram, è inconcepibile: «Il giorno più bello per me è stato quando Matteo ha vinto le primarie. Lì, abbiamo battuto il Moloch comunista». E guarda caso, proprio la sinistra Pd è quella che sembra meno contenta dell’opzione Tessitore: e chiede «discontinuità», non vedendone abbastanza, rispetto all’odiato Matteo. 

Quanto invece al rutellismo, quello di Paolo è puro ma non acritico e neppure scontato: sulle materie religiose, per esempio, Gentiloni - discendente dal famoso conte Ottorino, uomo di fiducia di Pio X e promotore del famoso Patto Gentiloni - è sempre stato più a sinistra dell’amico Francesco con cui ha condiviso gran parte dell’esperienza politica non solo nella Margherita. Racconta Rutelli: «Il suo approccio, talvolta criticato perché prudente, è quello giusto in un momento di grandi fratture sia in Italia sia a livello internazionale. Ricordo quando insieme facemmo squadra per governare Roma. La Capitale era sotto scacco, erano i tempi di Roma Ladrona. Ebbene, Paolo, io e tutti gli altri riuscimmo a ribaltare quella situazione. A unire di nuovo Roma con il resto del Paese, specie il Nord, che la contestava e a ridarle il suo ruolo riconosciuto e innovativo. Ora ci vuole il ricucitore, e lui lo è». 

IL CAVALIERE E LA JUVE 
Paolo Romani ne è stato a lungo il contraltare, per le materie di telecomunicazioni. «Ma contro Mediaset - questa la ricostruzione dell’attuale capogruppo forzista al Senato - era Prodi il vero accanito, non Paolo. Ora, sulla legge elettorale, starà fermo fino alla sentenza della Consulta. Poi comincia il tavolo di confronto e trovare un accordo, da carissimi avversari, sarà possibile». Lo crede anche Berlusconi, il quale dice ai suoi in queste ore: «Di lui ci si può fidare».

Magari anche per un aiutino del governo nel ricorso dell’ex Cavaliere a Strasburgo (ossia per la riabilitazione) e per portare l’azzurro Tajani alla guida dell’Europarlamento, che sarebbe un successo per l’Italia. E comunque, ecco Maurizio Gasparri, che a sua volta è stato ministro delle Comunicazioni. Osserva: «Lo conosco dal 1970, al liceo Tasso. Lui ultra-sinistro, io del Fronte della Gioventù. Poi ci siamo ritrovati, sempre su sponde opposte, nella vita parlamentare. Voglio però precisare una cosa: la legge che Gentiloni voleva fare sarebbe stata distruttiva, è solo che quel governo non ha avuto il tempo di farla perché è durato poco». Quando poi Gentiloni sarebbe diventato ministro degli Esteri, la vicenda andò così: Renzi dice a Napolitano che voleva dare la Farnesina a Lia Quartapelle, giovane e sconosciuta.

Re Giorgio sgrana gli occhi come a dire: e chi è? E si arriva così a Gentiloni. «Lo ha nominato premier Napolitano - è il paradosso di Gasparri - perché se non fosse andato allora agli Esteri, oggi non sarebbe passato a Palazzo Chigi». Sulla sponda opposta, Luciana Castellina, che è stata sua maestra di politica, nella rivista Guerra e Pace e al Pdup: «Voglio bene a Paolo, lo stimo infinitamente ma ci divide una baratro. Lui renziano e io no». Un baratro che non separa Paolo da Chicco, inteso come Testa: un’amicizia cementata negli anni della comune militanza ambientalista. «Non è uno che si nasconde - racconta Testa - anche se non ama urlare. Certamente il suo modo di fare non colpisce le masse, che preferiscono i mattatori. Il suo carattere non lo ha favorito, per esempio, nelle primarie del Pd quando sfidò Marino per la candidatura a sindaco di Roma».

Sarebbe stato un sindaco non romanista, perché Paolo Il Tessitore è il primo capo di governo bianconero - ovviamente senza fanatismi - dai tempi di Cossiga a Palazzo Chigi nel 1979. Ed è il secondo premier che è uscito dal liceo Tasso: il primo è stato Andreotti. E poi è l’unico, tra i premier, a non avere mai cambiato barbiere. Quando era direttore del mensile di Legambiente dal 1984 al 1982 ed era l’unico uomo in redazione in mezzo a tante donne (il suo amico Titti Alleva lo chiamava Mister Y nel senso dell’unico cromosoma maschile perso tra molte XX), lo vedevano arrivare con la folta capigliatura martoriata da feroci colpi di cesoie e gli dicevano «A Pa’, ma perché non cambi parrucchiere?». E lui: «No, ci vado da sempre e non me la sento di tradirlo».

«Come ministro degli Esteri - racconta il sottosegretario Benedetto Della Vedova - ha portato verve e ha girato come una trottola. Ha fatto il calcolo dei chilometri percorsi in giro per il mondo: più di mille al giorno in tre anni». Negli uffici e nei corridoi della Farnesina ne parlano così: «Non è cattolico e neppure democristiano. Ma usa metodi e procedure da Prima Repubblica. Massimo ossequio per l’amministrazione e per la burocrazia interna. La rispetta, sembra assecondarla, ma poi decide lui». Un ricordo più personale è quello di Clemente Mastella, che sarebbe diventato suo collega di governo con Prodi: «La prima volta che lo vidi fu nel 2001, mentre facevamo le liste elettorali della coalizione. Portava un po’ di barbetta trasandata e ogni tanto interveniva con parole puntuali e misurate. Io a un certo punto chiedo al mio vicino di posto: ma chi è questo? Mi dissero che era il negoziatore per conto di Rutelli. Da allora è rimasto sempre uguale. Se Renzi è uno che ti sfida al combattimento, Paolo è uno che non parte mai dal fatto che abbia ragione lui. L’impossibilità di farselo nemico è la sua forza e il motivo per cui è arrivato a Palazzo Chigi».
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