Brexit, Jill Morris: «Per gli europei nessun danno. E sul commercio non vogliamo dazi»

Mercoledì 28 Giugno 2017 di Marco Ventura
Brexit, Jill Morris: «Per gli europei nessun danno. E sul commercio non vogliamo dazi»
«Siamo orgogliosi che tanti italiani, 5-600mila secondo le nostre stime, abbiano scelto di vivere, lavorare e studiare nel Regno Unito. Londra è una seconda casa per loro, e non solo Londra. E vogliamo che continui a esserlo». Parola dell’ambasciatore britannico a Roma, Jill Morris, già direttrice per l’Europa del Foreign Office. «La Gran Bretagna è la meta della maggioranza degli studenti italiani che frequentano l’Università all’estero. Operano nel Regno Unito oltre mille aziende italiane ed è un punto morale del governo britannico che i cittadini italiani ed europei abbiano certezze quando pensano al loro futuro da noi. Questo è anche il frutto dei colloqui che il nostro negoziatore, David Davis, ha avuto a Roma con il ministro Alfano e il sottosegretario Gozi».

Come garantirete questi diritti? 
«Siamo un Paese aperto, tollerante, che promuove la diversità. Non abbiamo alcuna intenzione di espellere i cittadini Ue dopo la Brexit. Anzi, vogliamo semplificare e snellire le procedure per la richiesta di residenza permanente».

Niente più libri interi da compilare? 
«Le famose 85 pagine spariranno. Tratteremo i cittadini Ue in modo equo e non discrimineremo fra i diversi Stati. Permetteremo agli europei che rispettano le nostre leggi di chiedere entro una data concordata, compresa tra il marzo 2017 e il marzo 2019, la residenza permanente per sé e per le proprie famiglie, con gli stessi diritti dei cittadini britannici: libertà di studiare, lavorare, accedere al sistema sanitario, alle pensioni, chiedere un alloggio sociale… L’unica cosa che non avranno è il diritto di voto alle elezioni nazionali».

E per chi si trasferirà in Gran Bretagna dopo la Brexit? 
«Questo rientra nei negoziati. Il cuore della nostra proposta è che quelli che abbiamo accolto non possiamo mandarli via. Abbiamo una responsabilità morale nei loro confronti. Il momento difficile verrà dopo la Brexit, nel periodo limitato di transizione per chiedere lo status di residenti».

Riconoscerete le competenze professionali? 
«Sì, le competenze e i titoli. Ma vogliamo che tutto questo sia reciproco e valga anche per il milione di cittadini britannici che vivono nella Ue. Per i 600mila italiani in Gran Bretagna come per i 30mila britannici censiti in Italia». 

Qual è il punto di disaccordo più duro? 
«Il ruolo dirimente della Corte di giustizia europea. Noi vogliamo fare una legge nazionale per mettere nero su bianco i diritti dei cittadini Ue nel Regno Unito, norme che dovranno far parte anche del Trattato sulla Brexit. Ci saranno quindi due livelli di protezione: nazionale ed europeo, in regime di reciprocità. Bisognerà trovare un meccanismo arbitrale terzo in caso di conflitti. Ma l’idea che la Corte europea possa giocare un ruolo in Gran Bretagna dopo la Brexit è inaccettabile, lo sarebbe per qualsiasi Paese terzo. Una soluzione la troveremo, intanto siamo voluti partire mettendo al centro le persone in carne e ossa».

Non temete di perdere il soft power? Il sistema dell’istruzione universitaria aperta al mondo…?
«Abbiamo università tra le migliori in assoluto e vogliamo tenere in vita questo sistema che non ha nulla a che fare con la Brexit».

La premier May è stata criticata per aver annunciato la proposta in un Consiglio europeo e non attraverso i negoziatori… 
«È stato un gesto di cortesia, non di scortesia. Theresa May ha voluto anticipare ai partner europei quello che avrebbe detto al Parlamento britannico. E il suo briefing era “autorizzato” dai vertici Ue, Tusk e Juncker. E poi abbiamo voluto accelerare...».

Gli inglesi sono pentiti della Brexit? 
«Il voto dell’8 giugno dimostra che in maggioranza hanno votato per due partiti, conservatori e laburisti, determinati a rispettare l’esito del referendum. Io non parlo di Brexit hard, soft, “aperta”, dico solo Brexit, senza aggettivi. La premier May ha voluto semplicemente chiarire che il popolo britannico chiede più controllo dei confini, dell’immigrazione europea e delle leggi. Ma il Regno Unito è una grande economia e tale rimarrà. Ci sono ottimi motivi per fare business da noi: burocrazia efficace, giustizia affidabile, ambiente favorevole agli affari, buon fisco e tanta innovazione, ricerca, Università… Un futuro senza barriere e senza dazi è nell’interesse di tutti. Lasciamo l’Unione europea, non l’Europa. Rimaniamo europei e difenderemo i valori europei».

Finirete come la Norvegia, che deve sottostare alle condizioni della Ue senza averne i benefici?
«Non siamo come la Norvegia o il Canada. Noi siamo membri della Ue da 44 anni, le nostre leggi sono già armonizzate con quelle europee. Ci vogliono ora buona volontà, collaborazione e amicizia. Vogliamo che la partnership con la Ue sia la più stretta che la Ue abbia mai avuto con un Paese terzo».

 
Ultimo aggiornamento: 14:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA