Gli 80, vitalissimi anni di Gianmaria Potenza

Sabato 10 Dicembre 2016
«Canto al mattino quando mi sveglio e, alla sera, prima di andare a letto, ho un carattere allegro e socievole». Una vitalità positiva che Gianmaria Potenza, un fisico imponente, il viso incorniciato dalla folta, accattivante barba, ha conservata intatta negli anni. E ieri, 9 dicembre, ha tagliato con lo stesso spirito il traguardo degli 80 anni. Vissuti sempre a Venezia alle Zattere dove ha studio e abitazione, impregnato della cultura del luogo: «Sono veneziano nel profondo, meglio bizantino, come dimostra l'uso dell'oro e la tecnica del mosaico, che ho rivoluzionato, a parere del compianto Riccardo Licata».
Molto apprezzato in Russia, dove lo equiparano per importanza a Canova (anche se gli stili sono quanto mai distanti) e dove nei prossimi mesi è in programma, a Mosca, una sua mostra, Potenza è artista noto, oltre che in tutta Europa, anche negli Stati Uniti: ha un appuntamento a Miami per l'inizio del 2017 e un secondo a New York, dove approderà la mostra che sta preparando per la Biennale in un edificio storico. Si autodefinisce con orgoglio un artista decoratore che riprende la tradizione dei maestri veneziani del passato. Potenza è intervenuto su banche, chiese, grandi navi, affiancato spesso da grandi architetti come Giò Ponti. Gli inizi?
«A undici anni mi sono iscritto alla Scuola d'Arte dei Carmini. Ero l'allievo prediletto del preside, Giorgio Wenter Marini che mi permise di impratichirmi di tutte le tecniche insegnate nella scuola, dalla ceramica al vetro cement, dalla resina al marmo e al bronzo». La sua è un'arte poliedrica che spesso s'ispira al mondo animale, vedi l'icona dei gufi o a quello vegetale. «E' la natura la mia fonte di ispirazione: vedo il petalo di un fiore e lo trasformo in un oggetto simbolico; lo rielaboro sempre in continue variazioni. Come Fontana con i suoi tagli, un segno ripetuto e sempre diverso. I gufi, che ho cominciato a scolpire dal 2006, sono volatili positivi, che arrecano serenità e guadagni».
Poi ci sono le steli, quasi dei totem intessuti d'oro, che impreziosiscono corti, calli e fondamenta. «Le considero le lettere di un alfabeto con cui intessere un racconto, affidato ai colori, come il blu che rappresenta il sogno o il rosso che rappresenta, invece, un incubo».
L'aspetto religioso: «Agli inizi degli anni '60, era papa Paolo VI, mi recai a Roma con un campionario di velluti che piacquero molto al suo segretario Pasquale Macchi. Feci confezionare delle pianete o casule. Poi creai oggetti come calici, croci, amboni. In due località in provincia di Catania hanno costruito due chiese nuove per cui sto progettando il battistero, il cero pasquale, il tabernacolo e le porte di ingresso. In marmo».
Un rimpianto? «Forse ho dedicato troppo tempo ad opere imprenditoriali, sacrificando la pittura e la scultura. Può essere, però, vero anche il contrario che da queste imprese io abbia potuto trarre ispirazione per la mia arte. Una cosa è certa: ho sempre lavorato col cuore».
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