ROMA - L'account su facebook è stato svuotato, a parte una sua foto

Venerdì 5 Febbraio 2016
ROMA - L'account su facebook è stato svuotato, a parte una sua foto
ROMA - L'account su facebook è stato svuotato, a parte una sua foto di viaggi, un'altra di Berlinguer e i suoi gusti musicali, la recente passione per due gruppi scoperti proprio in Egitto, i Wust El Balad e gli Islam Sha3rawy, capofila del rap islamico di Alessandria.
L'hashtag #whereisgiulio, così attivo nelle ore dell'allarme e delle ricerche, è stato prosciugato anche quello, i tweet che lo animavano sono via via calati e alla fine spariti.
Una cappa di paura sembra essere scesa su chi ha frequentato negli ultimi tempi Giulio Regeni, su chi lo aiutato nelle sue ricerche, su chi vive da straniero ancora fra le strade del Cairo.
La stessa paura che s'era impadronita negli ultimi tempi di questo giovane e brillante studioso, al punto di convincerlo a rifugiarsi in uno pseudonimo per firmare i suoi articoli sul Manifesto, «per la sua incolumità - raccontava ieri un redattore -, ma anche per tutelare le sue fonti». L'ultimo l'aveva inviato una decina di giorni fa e aveva continuato a studiare, a fare «lavoro sul campo» per completare la sua tesi. Cercava contatti con attivisti sindacali, con esperti del diritto del lavoro, come racconta uno dei suoi amici egiziani. Proprio a lui aveva promesso che non sarebbe stato cosi imprudente da fissare appuntamenti prima del 25 gennaio, una data delicatissima per il Paese. Il quinto anniversario dell'inizio della rivolta studentesca di Piazza Tahrir. Ma non ha avuto il tempo di mantenere quella promessa.
Questo amico, rimasto anonimo, ha raccontato di essere stato convocato da ufficiali della sicurezza subito dopo la scomparsa di Giulio Regeni e di essersi sentito rivolgere soprattutto «domande focalizzate sugli scopi della visita e dei suoi studi». Le sue ricerche sui movimenti sindacali nel Nord Africa, infatti, sono «un argomento sensibile», come lo definisce il New York Times in una corrispondenza, per un governo come quello del Cairo che «ha cercato di reprimere molte forme di dissenso».
Un argomento che Giulio non affrontava solo nei suoi articoli dal Cairo, ma che è gia ben presente in una tesi di quattro anni fa, un lavoro fatto a Cambridge, che gli valse il premio -una dotazione di 350 euro - messo in palio dal concorso Irse Europa dell'Istituto regionale di studi europei del Friuli Venezia Giulia. Così introduceva: «Gli eventi improvvisi che hanno spazzato via i dittatori del Nord Africa sono oggetto di un intenso dibattito all'interno della comunità internazionale...». E poi passava ad analizzare le rivolte arabe: «Il mio obiettivo sarà dimostrare che non sono un fenomeno nuovo e che rappresentano la progressiva rottura di un patto sociale tra gli autoritari governanti nordafricani ed i loro popoli sottomessi».
Giulio concludeva: «Il percorso storico delle recenti rivolte in Tunisia e in Egitto rivela quanto i processi di partecipazione e contestazione popolari siano riconducibili alla trasformazione del ruolo dello Stato nel corso del tempo e soprattutto al suo abbandono delle fasce più vulnerabili della popolazione». Auspicava «un nuovo patto sociale tra le istituzioni e il popolo che renda il Nord Africa finalmente libere da ingerenze esterne e dittature interne» e si rivolgeva fiducioso all'Unione europea «che dovrebbe cogliere quest'opportunità per correggere tali asimmetrie di forza».
N.C.

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