«No, rappresenta le partecipazioni statali più che noi»

Venerdì 27 Maggio 2016
«Non compete al presidente di Confindustria, semmai al suo Consiglio generale stabilire la linea sulle riforme istituzionali del Paese». Non piace a Michelangelo Agrusti, alla guida degli Industriali di Pordenone, l'assist a Matteo Renzi dal neo-presidente nazionale Vincenzo Boccia, che si è "esposto" senza giri di parole per il voto affermativo al referendum di ottobre sul quale il premier fonda il proprio futuro politico.
Allora lei non vuole le riforme?
«Anzi. Sono riformista da sempre, convinto che occorra riformare il Paese quanto Confindustria, chiamata a recuperare credibilità con gli associati».
E allora?
«Gli imprenditori italiani devono restare del tutto liberi di manifestare la propria opinione e anche, quando lo ritengano, di aderire a comitati per il sì o per il no».
Quindi lei invoca una sorta di libertà di coscienza.
«Noi siamo un pezzo importante del Paese e ora dobbiamo impegnarci prima di tutto per risalire la china della crisi che ha colpito tutte le strutture di rappresentanza».
Però dica la verità: a voi di Pordenone Boccia è rimasto sullo stomaco.
«Non a noi soli, un po' a tutte le imprese del Nord. Prova ne sia che il 33% dell'assemblea non ha votato né per lui né per la squadra che ha indicato».
Quali sono le ragioni dello scontro?
«Semplice: due visioni opposte su Confindustria».
Lei si era speso per la candidatura di Alberto Vacchi.
«Certo: viene dalle Pmi diventate grandi, esperto di internazionalizzazione, un possibile presidente della discontinuità».
Invece Boccia?
«Ha introdotto per la prima volta un meccanismo conflittuale per la raccolta dei consensi, che ha contrapposto i piccoli e i grandi. E poi si avverte un peso esorbitante delle partecipazioni statali».
Ma questo potrebbe non essere il male assoluto.
«Lo diventa se si considerino le criticità annesse e connesse. Si profilano rischi per l'effettiva autonomia di Confindustria, che invece deve rimanere libera. Fino in fondo».
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