IL PROCESSO
BELLUNO Se non ci fosse una tragedia di mezzo, si potrebbe dire che

Venerdì 24 Novembre 2017
IL PROCESSO BELLUNO Se non ci fosse una tragedia di mezzo, si potrebbe dire che
IL PROCESSO
BELLUNO Se non ci fosse una tragedia di mezzo, si potrebbe dire che sembrava quasi di assistere a un gioco delle parti udendo i testimoni sfilati ieri in aula, in Tribunale a Belluno. Ma su quella strada, statale 50, cui interventi sono stati rimpallati, rimandati per anni, o peggio fatti in maniera non idonea, ci è morta una bambina di 13 anni. Alla sbarra per l'omicidio colposo di Martina Bonavera (dopo imputazione coatta) i vertici dell'Anas, Eutimio Mucilli e Ettore de Cesbron de la Grannelais. Parte civile i genitori della bimba con l'avvocato Chiara Tartari del Foro di Treviso.
IL PERICOLO
Martina Bonavera la mattina del 9 marzo del 2013, a Giamosa, stava andando a prendere l'autobus per andare a scuola quando venne investita e uccisa. Aveva tutto il diritto di avere un percorso sicuro per percorrere quel tratto. Invece no. L'edificazione intensa della zona di Giamosa non è andata di pari passo con le infrastrutture. «Le possibilità che avevano i pedoni - hanno detto la poliziotta Loretta Ghenetti che la comunale Anna Ribul Olzer - erano quelle o di camminare in carreggiata sul ciglio della strada o percorrere la cunetta stradale di raccolta per le acque nei giorni in cui era asciutta, o, a rischio, attraversare e raggiungere il marciapiede che c'era sul lato opposto». Marciapiede che, tra l'altro, aveva realizzato un privato, Franco Clò, con i suoi fondi dopo aver avuto il via libera dall'Anas.
LE PROTESTE
Da tempo i cittadini protestavano con esposti per la pericolosità della zona. «Questo pericolo - ha detto l'ispettore Mauro Montico, della polizia giudiziaria - è stato rappresentato anche al dirigente della stradale dopo vari incidenti: c'era un incidente ogni 21 giorni». Si forma anche il comitato di cittadini che invia esposti a Comune e Anas. Ma è proprio questo il punto. «Anas affermava la non competenza», è stato detto. Eppure aveva diffidato il Comune quando nel 1997 considerò quel tratto di statale come centro urbano (la strada statale nei centri urbani è di competenza del Comune). «Fummo costretti a ritirare il centro abitato - ha spiegato al comunale - al chilometro 10 e 712 della statale».
I RITARDI
La competenza quindi era dell'Anas. Era l'Anas che doveva fare i lavori, ma nel processo è emerso chiaro anche l'immobilismo del Comune. Gli unici interventi effettuati negli anni: il guard rail per le vetture, che è andato a bloccare la via di uscita dei pedoni che attraversavano sulle strisce. E così i sogni della pallavolista di 13 anni sono finiti sotto il furgone che stava percorrendo una strada dove il limite orario era di 70 all'ora. Solo dopo l'incidente venne abbassato a 50 all'ora. Solo dopo l'incidente venne subito sistemata, con un piccolo investimento, una passerella protetta per attraversare. Solo dopo l'incidente si sbloccò quella impasse che tenne progetti nei cassetti di Anas (che diceva di non averli mai visti) e Comune per anni, dal 2006 al 2013. Con atti spediti a Anas, per tragica coincidenza, solo il giorno prima della tragedia: l'8 marzo 2013. Si torna in aula il 7 dicembre: parlerà il padre della vittima.
Ultimo aggiornamento: 12:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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