(Segue dalla prima pagina)

Lunedì 8 Febbraio 2016
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È sera inoltrata, ormai, quando il volo da Roma atterra a Ronchi con Paola e Claudio, i genitori di Giulio Regeni. Sono reduci da giorni di strazio indicibile al Cairo e da ultimo nella capitale italiana. La Polizia ha blindato la loro disperazione, con gentile fermezza, per impedire nuovi assalti mediatici.
Ad accoglierli sulla pista, lontano dalle telecamere, la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che con un atto insieme di vicinanza umana e testimonianza istituzionale si è stretta a loro in un incontro rapido e privato. «Ci sono poche o forse nessuna parola per aiutare e confortare chi ha subito una perdita così straziante», ha detto Serracchiani. «Era però giusto testimoniare con un piccolo atto quanto siamo tutti sconvolti. Ho voluto dire loro - ha concluso - che non ci rassegneremo a brancolare nel buio delle ipotesi o delle mezze verità». Il sindaco di Fiumicello, Ennio Scridel, ha chiuso al traffico la via Bonetti, una strada senza uscita dove abitano i Regeni, perché il ritorno rimanga appartato. I genitori di Giulio sono stati portati a casa dalla Digos.
Mamma Paola ripete che «Giulio resterà per sempre il nostro faro», ma ha innalzato un muro di privatezza. Ma il funerale sarà aperto alla partecipazione. Le esequie, per volontà della famiglia, saranno celebrate a ridosso del fine-settimana per dar tempo ai tanti amici di Giulio sparsi nel mondo di organizzarsi. Nel frattempo, la salma resterà all'Istituto di medicina legale dell'Università La Sapienza di Roma e giungerà in Friuli a ridosso dei rito funebre con un volo militare. Il nulla-osta della Procura romana sarà formalizzato oggi. Il ministro dell'Interno Angelino Alfano non ha escluso i funerali di Stato.
Ieri sera, poco prima dell'atterraggio, alla fiaccolata organizzata nel pomeriggio a Fiumicello, c'erano duemila sulle cinquemila anime residenti, molto unite e solidali con ben cinquanta associazioni e un senso vigoroso di appartenenza, probabile retaggio asburgico di questo lembo friulano che ancora si chiama orgogliosamente "imperiale". Un fiume umano puntiforme nell'oscurità di una sciroccata d'inverno confluito nella piazza delle scuole dove Giulio aveva studiato. È intitolata a Falcone e Borsellino. C'erano i sindaci dei molti paesi contigui e c'era quella Marano di fieri pescatori di San Marco dove affondano fra la terra e la laguna le solide radici della famiglia Regeni.
Le fiaccole restituiscono alla memoria le lucciole di Pasolini, il grande friulano eretto a modello da Giulio. Entrambi scomodi, certo in contesti diversi, ma ambedue alla ricerca della libertà attraverso la verità, e per entrambi, caso strambo del destino, la morte si è presentata repentina e violenta, con l'abbandono per terra dei corpi straziati. E rimane ancora, per ora, inspiegata. Forse inspiegabile.
Il parroco di Fiumicello don Luig Fontanot ha parlato di un martire. E a Canebola di Attimis, nell'anniversario dell'eccidio fra partigiani alle Malghe di Porzûs, don Gianni Arduini ha accostato Giulio ai valorosi della Brigata Osoppo trucidati a tradimento.
In questo ritorno che ha poco di omerico ed è umanissimo nel suo pudore dei sentimenti, congenito ai friulani, si è appreso anche un segno di reazione dei genitori di Giulio al clamore mediatico, che talora ai loro occhi avrebbe mescolato alle verità fin qui possibili qualche libbra di esagerazioni.
Ora si attende il secondo ritorno, l'ultimo viaggio di Giulio al quale tutto rimanda nella casa riaperta da mamma e papà. Ha lasciato l'Egitto delle petizioni soffocate di libertà, quel soglio antico di Osiride, dio delle agonie. Adesso Giulio, studente modello e intelligenza attiva della Giustizia, tornerà nel grembo materno di una terra che gli deve un omaggio senza tempo: non abbandonarlo all'oblìo, a una lenta rimozione che sarebbe una seconda morte.
Maurizio Bait

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