«I 350mila euro? Erano regali: lui mi aiutava»

Mercoledì 20 Giugno 2018
IL PROCESSO
BELLUNO «Erano solo regali, lui mi voleva sposare e voleva solo aiutarmi. Tra noi c'era amore». Si è difesa così, ieri mattina in Tribunale a Belluno, Gabriella Di Giulio, 58enne bellunese, che deve rispondere di truffa aggravata continuata. La vittima è Luigi Andreoni, classe 1935, trentino di nascita, torinese di adozione per ragioni lavorative, ma a Belluno dal 1992. L'uomo è ormai deceduto: alla sua morte nella cassaforte venne trovata una cambiale per 350mila euro che la Di Giulio gli aveva firmato per garanzia. Così la figlia Elena Andreoni, in qualità di erede, è parte civile nel processo che si è svolto ieri mattina, con l'avvocato Cristiano Michela del Foro di Torino. L'imputata invece è difesa dallo studio Antonio Prade di Belluno: ieri in aula era presenta l'avvocato Massimo Montino, che ha fatto emergere come negli ultimi giorni di vita l'unica a essere al capezzale dell'anziano era l'imputata.
L'ACCUSA
Secondo quanto contestato dalla Procura la Di Giulio con scuse strappalacrime, tra le quali quella di un tumore che doveva curare si sarebbe fatta accreditare dall'anziano la cifra di 359mila. In più l'uomo avrebbe fatto prelievi in contanti per 100mila riconducibili a lei. Il tutto, come disse lo stesso anziano, per aiutare la sua collaboratrice a curarsi. Di questo ha chiesto conto all'imputata ieri il pm Maria Luisa Pesco che ha rivolto diverse domande alla 58enne.
LA DIFESA
«Io dico solo la verità - ha spiegato al giudice l'imputata, che ieri ha dato la sua versione dei fatti - Lui mi voleva sposare, mi amava. Diceva Chiudiamo tutto qui e andiamo a vivere sul lago di Garda. Io volevo restituirgli quei soldi, ma non avevo le possibilità. Lui poi mi diceva: è un mio regalo, ma sapevo che prima i poi ci sarebbero stati problemi con i figli». «Ha mai chiesto soldi per curarsi per un tumore?», ha chiesto il pm. «Mai, io non ho mai detto quelle cose - ha spiegato la Di Giulio - era lui che raccontava quelle cose non so perché, alla figlia. Diceva che lavoravo alle poste, ma non ho mai lavorato in un ufficio postale. Mi voleva bene, ma non era capace di dire a sua figlia che si era innamorato di me e forse per questo tirava fuori quelle scuse». E ancora: «Mi diceva I soldi sono miei e ne faccio quello che voglio, ti aiuto a pagare i tuoi debiti. Io, ogni tanto gli dicevo Te li restituisco, ma lui non li voleva. Anzi, quando beveva mi minacciava: Mi devi sposare».
LE CONCLUSIONI
Il processo si chiuderà il 17 luglio con le richieste delle parti e la sentenza. La difesa infatti non ha testimoni. «La cugina, nipote di Andreoni sapeva tutto - ha spiegato l'imputata ieri - sapeva quello che ho fatto per lui e che lui mi aveva aiutato con dei soldi». Ma la donna non sarebbe mai più riuscita a contattare questa nipote-cugina della parte civile: sarebbe stata l'unica che avrebbe potuto scagionarla e confermare la verità raccontata dall'imputata.
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