Già rilasciati i due fermati Gentiloni: verità lontana

Domenica 7 Febbraio 2016
Le versioni contraddittorie, il tentativo iniziale di archiviare tutto come un incidente stradale, l'insistenza con la quale si è voluto negare l'evidenza, rendono per niente credibili le autorità egiziane sulla morte di Giulio Regeni, lo studente friulano il cui corpo è stato trovato abbandonato in un fossato al Cairo, accanto alla strada che porta ad Alessandria d'Egitto. «Un incidente misterioso» lo ha definito Abdel Fattah al Sisi, il generale diventato presidente. Un atto di criminalità comune, secondo la polizia egiziana che ha rilasciato due presunti sospetti fermati il giorno prima. «A quanto risulta dalle cose che ho sentito sia dall'ambasciata sia dagli investigatori italiani che stanno cominciando a lavorare con le autorità egiziane - è stato il commento da Amsterdam, dove si trova per un vertice della Ue, del titolare della Farnesina Paolo Gentiloni - siamo lontani dal dire che questi arresti abbiano risolto o chiarito cosa sia successo. Credo che siamo lontani dalla verità».
E infatti i due fermati sono stati lasciati andare. Il governo egiziano, peraltro, ha vietato alla polizia di divulgare informazioni sulle indagini. E la notizia di questi due arresti - poi confermata nei fatti dall'annunciato rilascio di entrambi i fermati - era stata anch'essa smentita da alcuni media locali. Resta il sospetto che si volesse trovare un qualche capro espiatorio fasullo, e che gli inquirenti del Cairo abbiano rinunciato alla messinscena proprio per l'esasperazione italiana. Le parole di Gentiloni da Amsterdam, nonostante la loro prudenza, sono indicative. L'Italia e l'Egitto hanno un rapporto di amicizia e di buone relazioni diplomatiche che va oltre gli scambi commerciali dal valore di cinque miliardi l'anno, ma Roma si gioca la sua credibilità e dignità internazionale se dovesse sacrificare la giustizia per Giulio Regeni sull'altare degli interessi di Stato.
Gentiloni sostiene che è di assoluta importanza che l'inchiesta «possa essere fatta insieme alle autorità egiziane». Una collaborazione cominciata nelle apparenze, ma non nella sostanza. Agli investigatori italiani già al Cairo da tre giorni è stato negato finora l'accesso agli atti dell'inchiesta. È stato concesso loro solo di parlare con funzionari non direttamente impegnati nelle indagini. E, mentre la salma di Giulio è giunta in Italia - dove gli accertamenti medici hanno subito confermato che il giovane è stato torturato prima di essere ucciso - le fonti mediche egiziane annunciano che i risultati definitivi sui campioni del Dna saranno completati solo alla fine del mese.
La collaborazione tra i due Paesi nelle indagini - se ci sarà - partirà da due tracce diverse. Per la polizia egiziana la pista è la criminalità comune; per gli investigatori italiani il movente va cercato nei contatti con gli oppositori al regime che il giovane avrebbe attivato. Hoda Kamel dell'Egyptian Center for Economic and Social Rights, ricorda che Giulio venne a cercarlo «per incontrare alcuni membri di sindacati indipendenti per la sua ricerca. L'ho incontrato circa 5 o sei volte, diciamo due volte al mese, assieme a rappresentanti sindacali».
È questa la traccia dei nostri investigatori. Giulio sarebbe stato torturato per avere informazioni sugli oppositori ad Al Sisi. Come in un vaso di Pandora scoperchiato, ora anche l'Occidente fa i conti con una realtà repressiva più volte denunciata ma quasi ignorata in Europa finché le vittime erano i Fratelli musulmani, accusati di terrorismo. E gli attivisti dell'Egyptian Commission for Rights and Freedoms sostengono che sarebbero almeno 340 i cittadini spariti forzatamente solo negli ultimi tre mesi dell'anno scorso.
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