FIUMICELLO - «Pensate indipendentemente e impegnatevi per ottenere quelli

Sabato 13 Febbraio 2016
FIUMICELLO - «Pensate indipendentemente e impegnatevi per ottenere quelli che voi credete siano gli obiettivi più giusti». Parole di Giulio Regeni quand'era sindaco dei giovani, nel 2007, lette con commozione ieri al cospetto del suo feretro. Adesso che quel corpo straziato giace sottoterra, il sogno si è finito di spezzare. Ma il volto radioso di Giulio resta insieme sfida del coraggio e memoria del sentimento.
La piazza minuta di un paese del Friuli, questo Fiumicello ordinato e vigorosamente autodifeso dai clamori esterni, è diventata il microcosmo di un mondo intero. Vi si parlano tutte le lingue degli amici di Giulio Regeni, accorsi dai quattro angoli della terra a salutare questo ricercatore fatto di talento e passione che a 28 anni ha sacrificato la vita per amore della libertà. Questa piazza che così non è mai stata e mai tornerà ad essere, si stringe con cinquemila anime attorno al suo giovane eroe. Il paese si è aperto agli ospiti stranieri dando tutto il possibile, a cominciare dal cuore e per finire un letto e un piatto. Ma niente funerale di Stato né sedie riservate ai politici, niente corona del Presidente della Repubblica portata dai corazzieri, gentilmente rifiutata dalla famiglia. Niente esponenti del Governo, in rispetto dell'atroce dolore privato e niente fasce tricolori di sindaci e gonfaloni dei pur tanti Comuni in lutto. Piuttosto cordoni di uomini e donne in divisa e tanti volontari di protezione civile a fare da discreta barriera attorno alla palestra, chiesa e assemblea per un giorno, sebbene la folla senza fiori, drappi e bandiere si accalchi in ogni dove di questo comune altrimenti ignoto all'Italia.
«Grazie Giulio, per avermi insegnato tante cose. Resta nel mio cuore l'energia del tuo pensiero. Il tuo pensiero per amare, comprendere, costruire tolleranza», ha fatto leggere mamma Paola a un amico. Migliaia di volti arrossati dall'emozione di un Friuli mai così geloso del proprio intimo sentire bruciano sulla coscienza di chi è qui, vivo e cosciente di fronte all'esito di una barbarie ancora orfana di un perché. Poche autorità, fra queste la presidente della Regione Fvg Debora Serracchiani e il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pierferdinando Casini, il quale ha promesso che «saremo implacabili nella ricerca della verità», ma ha constatato che «finora non abbiamo avuto risposte soddisfacenti».
Fa paura quella bara accarezzata da mamma Paola, papà Claudio e sorella Irene, una paura scandalosa e strisciante per un nemico che resta imponderabile e per questo genera scandalo. «Giulio, nell'impegno che ci lascia, diventa la nostra porta della misericordia», scandisce il parroco don Luigi Fontanot. Studiava a Cambridge, Giulio Regeni, da dove il professor Peter Roland è sceso in Friuli a pronunciare parole di laude. Si stava addottorando in Egitto e seguiva orme universali sulla strada dei diritti umani. Con don Luigi, che lo ha annoverato fra i martiri, cioè fra i testimoni con la vita della propria coerenza, celebra il rito il padre copto Mamdua, che aveva benedetto la salma al Cairo e che ora non ricorre a giri di parole: «Giulio è il capro espiatorio che libera un Barabba sconosciuto».
Perché tutti, qui, sanno nel profondo che Giulio è morto in conseguenza del suo essere e del proprio sentire. Molti hanno pensato a Valeria Solesin, uccisa al Bataclan. Qualcuno, come il sindaco Ennio Scridel, già in questi giorni era arrivato ad accostare Giulio, nell'afflato di libertà, allo studente praghese Jan Palach, che si diede fuoco per protesta in faccia ai carri armati di Mosca che strangolavano la Primavera. Ma questa vita spezzata nel fiore degli anni è soprattutto una candela nel vento, come quella Rosa d'Inghilterra alla quale la celebre canzone fu ridedicata nel giorno del lutto.
Già, il lutto per un volto che non vive più si fa teoria di specchi che riflettono i mille e mille volti di donne e uomini per i quali Giulio ha creduto e lottato, vessati e giustiziati dall'ingiustizia. Amava Spinoza e Pasolini, il giovane Regeni. Rifiutava le "passioni tristi", non accetterebbe che la tragedia postuli la rinuncia, poiché come sa chi crede, soltanto da un'autentica disperazione può sorgere una nuova speranza.
È tardi. La famiglia resta attorniata dai tanti fedelissimi mentre la torma dolente sfiaccola per le strade, come un gioco pirico nella notte sul mare. Fabrizio De Andrè ha cantato per Jan Palach parole che ora si addicono a Giulio: «Lascia che sia fiorito, Signore, il suo sentiero quando a te l'anima e al mondo la sua pelle dovrà riconsegnare».
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci