È socialmente pericoloso: il violentatore resta in carcere

Domenica 17 Dicembre 2017
IL RIGETTO
VENEZIA Resta per il momento in carcere il giovane di 26 anni della Valbelluna accusato di violenza sessuale e tentata violenza sessuale su minori, nonché detenzione di immagini pedopornografiche (quest'ultimo reato è di competenza della Procura distrettuale di Venezia, e per questo il caso è stato discusso ieri in Laguna ). Lo ha deciso ieri mattina il gip veneziano Gilberto Stigliano Messuti, il quale ha rigettato l'istanza di attenuazione della misura cautelare presentata dalla difesa chiedendo la scarcerazione o in subordine gli arresti domiciliari. Per il giudice, però, il giovane sospettato di pedofilia è socialmente pericoloso (inizialmente gli era stato concesso il beneficio degli arresti domiciliari) e, anche se la difesa sostiene che sia malato e abbia bisogno di cure urgenti, il magistrato ritiene che il regime carcerario non sia incompatibile con le cure psichiatriche. Almeno fino al termine delle indagini.
L'INDAGINE
L'uomo, di origine straniera, era finito in carcere a fine novembre dopo una lunga inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia di Feltre. Poi, dopo un primo rilascio, la scorsa settimana era stato raggiunto da un nuovo provvedimento cautelare. In pratica, lui si serviva di un falso profilo Facebook in cui si presentava come una ragazza. Attraverso questo contattava ragazzini in chat ai quali offriva immagini in pose molto ammiccanti anche di nudo chiedendo di fareb lo scambio di foto osé o hard. Così, c'era chi ci cascava e gli spediva inconsapevolmente foto e video alla persona che poi li avrebbe ricattati.
NEL MIRINO
Le vittime sono tre minorenni al di sotto dei 14 anni: il ricatto consisteva nella minaccia che avrebbe pubblicato quelle foto se loro non gli avessero inviato altri video a sfondo sessuale.
A lui è contestato un episodio di violenza sessuale consumata, costringendo un ragazzino a due rapporti orali sotto la minaccia di una pistola. Egli però ha negato di aver minacciato.
L'avvocato Pierluigi Cesa ha depositato una memoria con la documentazione medica che accerterebbe il problema psicologico del ragazzo, chiedendone la remissione in libertà. A suo carico, i carabinieri hanno raccolto parecchie prove, tra cui il fatto che la connessione internet era quella di casa sua e che le chat provenivano da un telefono cellulare di cui egli era in possesso. Inoltre, c'è l'accusa del ragazzino che avrebbe subito la violenza, il quale ha raccontato ai magistrati: «Mi ha mostrato la pistola che portava nella cinta e teneva sul lato posteriore e mi ha detto che se non lo facevo l'avrebbe usata».
La pistola sarebbe stata una scacciacani.
M. Ful.
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