Cornolade, altra strage: il lupo sbrana undici pecore

Martedì 6 Novembre 2018
PONTE NELLE ALPI
Il lupo colpisce ancora. Questa volta a Cornolade Alte dove il predatore ha sbranato e ucciso undici pecore, mentre quattro sono state ferite. I capi erano di proprietà di Alessandro Fullin: «Lavorare così è difficile - spiega l'allevatore - non ci sono prospettive future. Con immani sacrifici, abbiamo costruito una rete di lotti sparsi tra i territori dell'Alpago, Ponte nelle Alpi e Cansiglio. Io ho 350 pecore, mio figlio Sebastiano 250. Ma ora siamo di fronte a un dramma: nel momento in cui si è deciso di far partire l'attività, il lupo non c'era». Non è la prima volta che gli ovini dei Fullin finiscono nelle fauci del grande predatore: «Era già successo a Ferragosto e prima il 2 maggio 2017. È una situazione incresciosa e uscirne è quasi impossibile. Perché il lupo è uno degli animali più preparati e aggressivi. Comanda lui: non a caso, è in cima alla catena alimentare». L'allevatore gestisce l'azienda agricola La Runal: «Abbiamo già avanzato la richiesta dei danni. E subito è intervenuta in sopralluogo la Polizia provinciale con l'Usl. Ma la realtà è che la zona di Cornolade è diventata proibitiva. E ingestibile. Eppure abbiamo investito enormemente nei recinti: una cifra paurosa. E per cosa? Per poi seppellire dieci o quindici capi al mese? In simili condizioni non si può resistere. In più, non oso immaginare quando una nuova famiglia di predatori si formerà nella zona del Cansiglio». Fullin si sente impotente: «Il lupo è attento, meticoloso. Studia la situazione per mesi e, nel momento in cui sferra l'attacco, è vincente. Stiamo parlando di un animale che salta le reti di ferro e trova aperture per noi impensabili. Non c'è difesa». Insomma, serve una riflessione approfondita da parte degli organi competenti: «L'inserimento del lupo, nel nostro ambiente, è anacronistico. E ha conseguenze devastanti. È come portare le tigri in piazza Duomo, a Milano. Non abbiamo le terre sconfinate degli Abruzzi o del Cuneese, dove non ci sono proprietà private. Qui ogni particella va gestita con oculatezza. Bisognerebbe tornare al paesaggio che i nostri vecchi ci hanno lasciato. Perché ormai la situazione è ingovernabile».
Marco D'Incà
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