Borse, lunedì nero Lo spread risale a 146

Martedì 9 Febbraio 2016
Borse, lunedì nero Lo spread risale a 146
Lunedì nero per i mercati finanziari, dove torna protagonista un'accoppiata che non si vedeva dall'estate scorsa: il crollo delle Borse insieme con l'allargamento della forbice tra rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e tedeschi. Quest'ultimo è il temuto spread, l'indicatore che tanto aveva fatto tremare i mercati a fine 2011, quando era arrivato a superare quota 550, e che ieri si è riportato a 146 punti. Livelli che non si vedevano da luglio, con la crisi greca.
Dallo spread è arrivato un segnale di allarme forte proprio nel giorno in cui le Borse sono state protagoniste di nuovi scivoloni dopo le perdite già massicce dei giorni scorsi: a Milano l'indice Ftse Mib ha ceduto il 4,7%, mentre a Londra il Ftse 100 è sceso del 2,7%, a Francoforte il Dax 30 del 3,3% e a Parigi il Cac 40 del 3,2 per cento. In serata, poi, a Wall Street il Dow Jones ha ceduto l'1% e l'1,8 il Nasdaq. A pesare anche il nuovo calo del petrolio, che a New York è sceso del 3,9% a 29,69 dollari al barile, tornando sotto quota 30.
Il paniere Stoxx 600, che riassume l'andamento dei listini europei, ha ceduto il 3,5% finale, un calo che equivale a circa 310 miliardi di capitalizzazione andati in fumo solo nella seduta di ieri. Mentre il solo indice All Share, che raggruppa tutte le azioni quotate a Milano, da inizio anno ha visto volatilizzare ben 129 miliardi. Si può facilmente notare che il listino di Piazza Affari ha di nuovo perso più delle altre Borse europee. La cosa si può spiegare in due modi. Anzitutto a Piazza Affari le banche hanno un peso preponderante rispetto agli settori. E anche ieri, cosa cui i mercati ci hanno abituati, il comparto maggiormente preso di mira dagli ordini di vendita è stato proprio quello del credito, per un mix di motivi tra cui i rinnovati nuovi timori sull'applicazione delle regole sui salvataggi bancari “interni” (bail-in) in vigore da gennaio.
Non bastasse, la tensione sulle banche è salita man mano che si diffondevano sul mercato preoccupazioni, smentite dall'istituto, sulla capacità della tedesca Deutsche Bank (-9,5% ieri a Francoforte) di rimborsare le cedole su alcune obbligazioni subordinate. Così a Milano è crollata la “solita” Mps, che ha ceduto il 12%, anche questa volta seguita dal -10% di Banca Carige. Ma la stessa flessione è stata registrata da Popolare Emilia Romagna, Ubi e persino dalle Poste Italiane, in parte attive nel settore finanziario. Il calo più netto del Ftse Mib è però quello del 25,3% di Saipem, con le quotazioni delle azioni che stanno chiudendo la forbice con i prezzi impliciti dell'aumento di capitale da 3,5 miliardi. A Piazza Affari le vendite si sono concentrate nella parte finale della seduta, quando il Ftse Mib era arrivato a cedere anche il 5%: numeri da vero e proprio panic selling, ossia le vendite che scattano sull'onda del panico.
Ma il fatto che le perdite maggiori abbiano coinciso con la fase finale della seduta è il segno che a guidare la tendenza è soprattutto la speculazione professionale. Fenomeno che tradizionalmente si concentra quando gli operatori si muovono meno e le grandi compravendite sono già avvenute, così da avere gioco più facile. «In mancanza di dati macro rilevanti - osserva l'esperto della società finanziaria Ig, Vincenzo Longo - crediamo che ad agire oggi sia stata la parte più speculativa del mercato. Il quadro sembra somigliare sempre più al 2008, quando alla crisi finanziaria seguì una delle recessioni più severe dagli anni '30».
A complicare il quadro, sottolinea Longo, l'analisi tecnica degli indici, che già venerdì non preannunciava nulla di buono. L'indice Ftse Mib italiano solo nei primi giorni di febbraio ha rotto due importanti resistenze: la prima a quota 18 mila e poi a quota 17 mila, per fermarsi ieri 16.441. A questo punto, si potrebbe ipotizzare un rimbalzo, ma non è scontato. Sia perché quando è in atto la speculazione professionale non si può mai dire sia perché l'epicentro è probabile sia negli Usai, dove si sostiene che la Fed abbia avuto troppa fretta ad alzare i tassi di interesse.
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