Addio a Capovilla, 100 anni e una vita per Papa Roncalli

Venerdì 27 Maggio 2016
"Dio le concede lunga vita perché continui a parlare di Papa Giovanni", gli disse una volta il cardinale di Milano Carlo Maria Martini. E Loris Capovilla si fece più piccolo e si nascose dietro la montagna di libri ammucchiati sulla grande scrivania. Sapeva che quella era davvero la sua missione e la svolgeva con fede e tenacia: "Qualcuno ironizza, dice che Capovilla è la vedova di Giovanni XXIII… Ma io non ho fatto della mitizzazione su Papa Roncalli, ho raccontato le cose come erano".
Aveva oltre 100 anni, era il più vecchio cardinale d'Italia. Il secolo aveva voluto festeggiarlo a Sotto il Monte con i profughi africani; uno, Issa, era venuto dalla comunità di San Francesco di Facen di Pedavena, alle soglie di Feltre.
Inguaribile ottimista, fiducioso nella sua Italia: "Dopo aver incontrato uomini come Papa Giovanni e Paolo VI, Giorgio La Pira, De Gasperi, Aldo Moro, non siamo allo sbando. La nostra è una storia di bellezze, di verità. Di giustizia e di amore".
Era "contento di essere vissuto in questo mondo". Ha attraversato con discrezione e curiosità un secolo di vita italiana, è stato per dieci anni fianco a fianco al pontefice che, nel periodo più difficile, ha riportato la Chiesa nella storia. Ha custodito la memoria di una stagione eccezionale e di un pontificato rivoluzionario. Non ha mai dimenticato quel giorno di giugno del 1963, quando Angelo Roncalli morì: "Aveva 81 anni ma io non ho visto morire un vecchio, ma un bambino con gli occhi vivaci e il sorriso sulle labbra". Come scriveva Bernanos, "i santi sono coloro che non sono mai usciti dall'infanzia".
Anche don Capovilla, a modo suo, è sempre rimasto il bambino della Bassa padovana nato a Pontelongo il 14 ottobre 1915, nel Veneto già precipitato nella Grande Guerra. Il padre Rodolfo era funzionario della Società Belga dello Zuccherificio, Pontelongo era chiamato "il paese dello zucchero". Nel 1922 Rodolfo morì per le percosse dopo uno sciopero, coinvolto per caso negli scontri tra operai socialisti e gli squadristi fascisti. Non si è mai saputo chi lo avesse colpito.
Loris così si ritrova orfano a sette anni, con la madre Letizia e la sorella Lia. La famiglia nel 1929 si trasferisce a Mestre, dove il bambino studia, viene mandato in seminario e nel 1940 è ordinato sacerdote dal patriarca Adeodato Piazza. E' assegnato alla parrocchia di San Zaccaria, insegna catechismo nelle scuole e fa il cappellano a Porto Marghera. E' tempo di un'altra guerra, don Loris Capovilla è richiamato per il servizio militare in aviazione a Parma, dove lo sorprende l'Armistizio dell'8 settembre 1943. Raccontano che si sia adoperato per evitare la deportazione di molti militari in Germania; sessant'anni dopo "La Gazzetta di Parma" titolerà: "Così don Loris sfidò i tedeschi".
Nel 1945, in una Venezia liberata, il patriarca designa il giovane sacerdote come predicatore domenicale per Radio Venezia e quattro anni dopo gli affida anche la direzione del giornale diocesano "La voce di San Marco". Fino al 1953, quando conosce il nuovo patriarca Angelo Giuseppe Roncalli che lo chiama come segretario particolare ed è l'inizio di un sodalizio e di una missione. Roncalli stupisce tutti presentandosi in basilica: "Eccomi, sono lieto di essere tra voi". Nessuna oratoria solenne, ma l'entrata in scena di un Pastore più che di un cardinale. Pochi giorni prima si era fatto fotografare nella tipografia del Gazzettino mentre leggeva la prima pagina: "Stalin è morto".
Gli sta vicino anche nei momenti difficili, come quando Roncalli nel 1954 ha problemi con il Sant'Uffizio per aver tollerato la pubblicazione di un settimanale che sostiene l'autonomia politica dei cattolici e l'apertura ai socialisti. Gli costa un richiamo dal Vaticano anche il messaggio di benvenuto al Psi per il congresso nazionale a Venezia del 1957.
Don Capovilla si dedica al patriarca che cinque anni dopo lo vorrà accanto, quando sarà Papa Giovanni XXIII, il secondo pontefice venuto da Venezia in mezzo secolo. Più che un collaboratore è il confidente, l'amico, il mediatore col mondo esterno, il custode della memoria. Si conoscevano tanto bene che in punto di morte il vecchio Papa gli disse: "Io ho sopportato i tuoi difetti, tu hai sopportato i miei".
Ribadisce che quella di Roncalli "non fu una rivoluzione ma una continuazione, lo sforzo di aggiornare la Chiesa in tutto e per tutto".
Giovanni XXIII apre la rivoluzione col Concilio Vaticano II e lo fa con le parole "Tantum aurora est", siamo appena all'aurora. Doveva recitare un ruolo di transizione, invece ha cambiato la Chiesa. Il prelato di provincia, ma anche il diplomatico raffinato, si rivela un pontefice che sa guardare lontano. Roncalli fa del suo pontificato una sorta di rompighiaccio per il cattolicesimo, si schiera con le forze nuove che si battono dentro la Chiesa e dentro la Storia. Ha la sensazione precisa del futuro, vorrebbe incontrare Krusciov: '' Ci capiremo l'un l'altro"'. Getta i semi: ''Un giorno, quando io sarò morto, avranno la loro primavera"'. E l'uomo entra nella coscienza del mondo, prima che in una tomba che - come dirà papa Montini - '' non avrebbe potuto rinchiuderne l'eredità''.
Ma quanto si sarebbe conosciuto di Giovanni XXIII senza la costante, continua, fedele e appassionata memoria di Loris Capovilla? Senza i suoi libri tesi tutti alla custodia di quel passato e di quella rivoluzione, già dai titoli: "Prima che l'alba nasca. Colloqui con papa Giovanni… I miei anni con papa Giovanni… Lettere del segretario al papa diventato santo…". Tutti testi rispettosi della storia e della figura di un pontefice diventato santo nel Duemila, ma già venerato alla morte. Icona universale di un tempo che sembra lontano, ma che ha cambiato il mondo: quegli Anni Sessanta tramandati con tre volti sorridenti anche se tragici, Papa Giovanni-Kennedy-Krusciov. Fenomenali come la musica dei Beatles, come l'uomo sulla Luna.
A questa memoria don Loris ha sacrificato le ambizioni: "Sono solo un vecchio prete. Il mio desiderio non è mai stato quello di fare carriera o ricevere premi". È stato nominato da Paolo VI arcivescovo metropolitano di Chieti, prelatus nullius a Loreto, arcivescovo titolare di Mesembria la diocesi bulgara dove era stato negli anni Trenta Roncalli. Incarichi onorifici che Capovilla accetta con obbedienza, fino al 1988 quando si ritira a Sotto il Monte, il paese natale di Papa Giovanni. E qui continua il suo lavoro di segretario in una maniera antica e moderna insieme, conserva e organizza carte. Costruisce l'immagine di Roncalli, la contrappone a certa pubblicistica, la difende dalla superficialità, dalla retorica e dall'oleografia con le quali si tende a tramandare, specie in Italia, la figura di quell'innovatore. Si è battuto perché non lo chiamassero "il Papa Buono, è una deformazione, un modo di mortificare il suo pontificato".
Della grande lezione roncalliana ha tratto il meglio, non soltanto il messaggio di una Chiesa povera per i poveri, ma soprattutto la capacità di essere un centenario che guardava avanti. Per questo ha messo insieme nel suo catechismo ideale Papa Giovanni e Papa Francesco; per questo, quando a 98 anni è stato nominato cardinale, ha subito detto: "Ma io resto sempre don Loris".
È rimasto davvero don Loris, lo stesso che ripeteva: "Vivo i miei giorni del tramonto assistendo al rinnovarsi dell'aurora della Chiesa". Per lui si era sempre all'aurora; c'era un futuro davanti, una speranza, anche a cent'anni o, forse, proprio a cent'anni. Aveva completato la missione, il suo Papa ormai era diventato a tutti gli effetti il santo. "Sono arrivato sin qua, non ho avventure strepitose da raccontare". Solo quella di un povero cristiano. Capace di ascoltare e di capire i difetti di chi sopportava i suoi.
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