«Giulio era un ricercatore che cercava di avanzare lentamente, mettendo

Sabato 6 Febbraio 2016
«Giulio era un ricercatore che cercava di avanzare lentamente, mettendo un tassello dopo l'altro. Uno che voleva toccare con mano quello di cui scriveva. Per questo frequentava le Organizzazioni non governative, i sindacalisti e gli attivisti. Non era parte di loro, era un osservatore curioso e attento» così è ricordato Giulio Regeni da Malek Adly, avvocato egiziano che si è interessato al suo caso. «Ho cercato, volontariamente, di aiutare le istituzioni italiane ad affrontare il caso di Giulio. Per noi non era il primo di questo tipo, siamo quotidianamente alle prese con casi che iniziano con sparizioni misteriose» continua Malek, conosciuto nel centro del Cairo come l'avvocato degli attivisti. Un professionista a servizio di alcune delle organizzazioni entrate, negli ultimi anni, nelle retate del regime. «All'inizio c'erano gli attivisti nel mirino del regime. Ora ci sono tutti. Non si fa più distinzione neanche tra egiziani e stranieri. Il terrore è diffuso» conclude Adly, seguendo l'evoluzione delle indagini che hanno portato ieri all'arresto di due presunti assassini del nostro connazionale.
«Anche nel caso che questo fosse un incidente isolato, richiederebbe un'indagine approfondita per individuare i responsabili e consegnarli alla giustizia. Tuttavia, ciò che rende questo caso ancora più inquietante è che sia il più recente e più mortale esempio del crescente pericolo rappresentato dall'attuale situazione politica in Egitto a tutti coloro impegnati nel lavoro accademico». A parlare sono i tremila e passa ricercatori e accademici afferenti alla Mesa, l'associazione più importante al mondo di studi sul Nord Africa e il Medio Oriente. Prendendosi a cuore la tragedia che ha visto coinvolto Giulio, connazionale iscritto all'Università di Cambridge, i vertici della Mesa hanno scritto una lettera al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi e ai ministri degli Esteri e dell'interno per esprimere la loro profonda preoccupazione per le crescenti violazioni della libertà accademica e di espressione. Violazioni, si legge nel testo, che per essere elencate tutte richiederebbero innumerevoli pagine
«La morte di Giulio ha lanciato un messaggio allarmante a tutti i ricercatori stranieri in Egitto» conclude Malek che non ha paura di esporsi perché si sente «parte di una battaglia così importante che va oltre la mia incolumità». E in effetti, basta seguirli sui loro social questi ricercatori che capire che questo messaggio è già stato colto da alcune nostre eccellenze in loco che, dopo giorni di cauto e profondo silenzio, usano i social per ricordarsi a vicenda di tenere gli occhi più aperti. Scorrendo la lettera partita dalla Mesa si ha un'idea di quello a cui vanno incontro i ricercatori. Si va dal divieto di ingresso riservato ai più sgraditi, alle molestie subite da meno conosciuti. E poi le interferenze e le intimidazioni che arrivano, in alcuni occasioni, anche ai licenziamenti e alle espulsioni. Nei casi più gravi si è arrivati anche alla condanna a morte.
Basta pensare alla vicenda del professor Emad al Din Shahin, accademico spostatosi tra le più prestigiose università statunitensi e condannato a morte per la sua presunta attività politica al Cairo e dintorni. «Fino ad ora il vostro governo, come altri esecutivi occidentali, erano stati forti alleati del regime egiziano. Non si preoccupavano di quanto subivano i nostri ragazzi: le torture, gli arresti di massa, le minacce». conclude Adly. «E' servito il morto per farvi aprire gli occhi».
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