Trattativa Stato-mafia, Mori: «Non ho tradito continuerò a battermi» `

Lunedì 21 Maggio 2018
Trattativa Stato-mafia, Mori: «Non ho tradito continuerò a battermi» `
IL CASO
ROMA Ai suoi aveva detto che all'assemblea del Partito radicale, ieri mattina, avrebbe fatto solo un breve saluto, perché non voleva commentare la sentenza. Poi, però, sull'ex comandante del Ros Mario Mori deve aver prevalso la voglia di combattere, di non mostrarsi vinto, perché vinto, in effetti, non si sente: «Non accetto di essere considerato un traditore dello Stato, e continuerò a lottare fino in fondo certo che alla fine vincerò, sebbene sia imputato da 15 anni. Sono incazzato ma sono un agonista, le battaglie mi danno forza», dice alla platea. E a margine conferma: «Non considero affatto l'ipotesi che questa sentenza resti inalterata fino alla Cassazione».
Più che parlare della sentenza sulla trattativa Stato-mafia che un mese fa l'ha condannato a 12 anni per minaccia a corpo politico, secondo la quale trattò con Cosa nostra perché interrompesse la stagione delle stragi, il generale sceglie di concentrarsi su tutto ciò che è avvenuto prima e in particolare sull'inchiesta mafia e appalti. È allora, dice, che «nasce l'incomprensione con la procura di Palermo. Probabilmente anche io avevo le mie colpe, ma da quel momento la frattura non si è mai sanata ed è anzi esplosa con la cattura di Totò Riina, forse il più importante risultato che abbiamo messo a segno nella lotta alla mafia, ma che invece è stata circondata dai dubbi sullo sviluppo delle indagini».
MAFIA E APPALTI
La storia dell'inchiesta mafia e appalti è stata raccontata più volte. Mori dice che lui e De Donno nel 1989 partirono da un omicidio «modesto» per arrivare a concentrarsi su Angelo Siino, «il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra». Giovanni Falcone «ci spinse a consegnare l'informativa che, diceva, ci avrebbe creato molti problemi». In quella indagine, che il fondatore dell'Antimafia moderna «considerava centrale», la procura di Palermo, sostiene Mori, non ha mai creduto, come dimostrarono i pochi arresti fatti. Di mafia e appalti gli avrebbe chiesto anche Borsellino dopo la morte di Falcone. Ma sebbene fosse cosa nota che entrambi i pm credevano nell'indagine, «la procura decise di archiviare nel luglio del 1992. A quel punto ho rotto pesantemente con la procura». Il colonnello Giuseppe De Donno non parla durante l'assemblea, ma uscendo non nasconde il proprio nervosismo: «Noi abbiamo fatto sempre il nostro dovere. Altri si devono vergognare per quello che hanno fatto».
I GIURISTI
Sebbene i due lascino la sala dopo circa un'ora, la discussione nella sede del Partito radicale prosegue, e include molti interventi concentrati sul diritto penale, dall'ex pm del pool antimafia palermitano Giuseppe Di Lello, l'ex procuratore di Venezia Carlo Nordio, all'avvocato Giandomenico Caiazza, fino ai professori di diritto penale Giovanni Fiandaca e Tullio Padovani. Voci di peso, diverse per cultura ed estrazione, che però esprimono tutte dei dubbi. L'ennesimo indizio che la battaglia giudiziaria non è certo finita.
Sara Menafra
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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