ROMA «Se danno l'incarico a Di Maio, il Pd deve sostenere un governo con il M5S». Parola di Emiliano Michele, che apre il congresso del Pd a urne ancora chiuse. A una settimana dal voto, il governatore pugliese e leader di una delle due minoranze dem (10% al congresso, contro il 20 di Orlando e il 70 renziano) ha bruciato i tempi della resa dei conti interna, scommettendo ovviamente su un risultato negativo assai del suo partito. Nel Pd non si sono sbracciati a dargli sulla voce, c'è stato piuttosto un assordante silenzio, rotto soltanto da uno che rispetto al Pd risulta border line, il ministro Carlo Calenda, che è sbottato: «Vado in giro a sostenere il centrosinistra spiegando che c'è bisogno di gente seria, ma ogni volta che vedo una dichiarazione di Emiliano la determinazione vacilla, non comprendo cosa c'entri con il Pd». Ma non si ferma qui, il governatore da Bari. Dice, preme, incita a «sbarazzarsi del renzismo» e, al contempo, invita il medesimo attuale segretario a dire apertamente che il candidato del Pd è Gentiloni, «se lo facesse guadagneremmo subito qualche punto». Come l'hanno presa dalle parti del Nazareno? La consegna è di evitare la polemica diretta, «siamo in campagna elettorale». L'uscita del governatore pugliese è stata invece accolta positivamente dai vertici M5S.
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