La sanatoria

Giovedì 15 Novembre 2018
LA SCELTA
ROMA Un miliardo di euro. E' quanto lo Stato potrebbe ottenere dal Vaticano chiudendo così una volta per tutte il caso Ici, quello per capirci sull'imposta non versata dalla Chiesa, sollevato dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza di una settimana fa. Una sorta di sanatoria, di pace fiscale, per evitare guai peggiori da Bruxelles e recuperare almeno una parte dei 5 miliardi, secondo le stime del Tesoro, dovuti all'erario.
IL PERCORSO
Come noto, i giudici hanno stabilito che l'Italia non ha nessuna giustificazione nel non reclamare l'Ici non versata nel periodo 2006-2011 (prima che il governo Monti sistemasse le cose) e dunque che Roma deve muoversi in fretta. Ne sono consapevoli nel governo che infatti conferma la volontà di aprire lo spinoso dossier per trovare una soluzione. «A questo punto è un atto dovuto: il problema si trascina da anni e la sentenza della Corte ci impone di trovare un accordo con il Vaticano che ancora non stiamo negoziando. Ma va fatto e ci sarà» ha detto senza mezzi termini il vice ministro all'economia leghista, Massimo Garavaglia, che si è consultato anche con il ministro Giovanni Tria e con Palazzo Chigi.
I DETTAGLI
L'esponente del governo non ha aggiunto altro, ma autorevoli fonti del Tesoro fanno filtrare che la soluzione del caso potrebbe consistere in una sorta di Pace fiscale: un meccanismo simile a quello che l'esecutivo sta mettendo a punto nell'ambito della legge di Bilancio. Una specie di operazione saldo e stralcio nella quale si rinuncia a sanzioni e interessi e si applica una aliquota forfettaria fissata intorno al 20% sul capitale reclamato: 4,8 miliardi. Questa soluzione, che in area Lega viene giudicata di «buon senso», considerato che appare tecnicamente difficile riuscire a distinguere, all'interno della galassia dei 120 mila immobili della Chiesa, quali siano quelli che fino a 7 anni fa erano passibili di imposizione da quelli che non lo erano, non trova al momento una sponda nell'alleato di maggioranza. In area 5 Stelle, infatti, viene suggerito di trattenere le quote di 8x1000 destinate alla Chiesa Cattolica, circa un miliardo di euro all'anno, con la tecnica del credito in compensazione, fino alla completa estinzione del debito. Una ipotesi piuttosto ruvida, non gradita Oltretevere, che metterebbe in ginocchio i conti del debitore.
Del resto a Palazzo Chigi, che caldeggia un accordo soft, tutto si augurano fuorchéè di aprire un nuovo fronte di battaglia. Anche perché il Vaticano, peraltro, si sta mostrando molto dialogante in questa vicenda.
In attesa che la Commissione europea recepisca la sentenza della Corte di giustizia e chieda al governo di aprire una discussione formale, alcuni Comuni si stanno comunque già muovendo.
È il caso del Campidoglio, ad esempio, che sta conducendo una ricognizione sugli immobili che riguarda sia il pagamento dell'Imu sia quello pregresso della vecchia Ici. Il censimento sta procedendo anche attraverso un'interlocuzione con i titolari dei beni soggetti al pagamento dei tributi. Un lavoro non facile, ma indispensabile in quanto per procedere è necessario riuscire a distinguere gli enti che svolgono attività commerciale (e dunque soggetti al versamento dell'imposta) da quelli adibiti unicamente all'esercizio di culto. Un altro problema sul tappeto è quello della possibile prescrizione: in teoria i sindaci hanno 5 anni di tempo per reclamare l'Ici non versata (un tempo abbondantemente trascorso) e inoltre la Chiesa non era tenuta, all'epoca dell'evasione contestata, a conservare la documentazione fiscale relativa all'utilizzo degli edifici. Il che rende praticamente impossibile stabilire con certezza, in moltissimi casi, chi deve pagare e chi no. Ed è questa, appunto, la ragione per la quale la strada maestra che il governo vorrebbe percorrere è quella dell'atto concordatario. Un modo rapido per chiudere il dossier.
Umberto Mancini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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