Un bimbo chiamato Nessuno: le storie dei neonati abbandonati nell'archivio dell'istituto di Pietà

Martedì 13 Marzo 2018 di Paolo Navarro Dina
Un bimbo chiamato Nessuno: le storie dei neonati abbandonati nell'archivio dell'istituto di Pietà
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L'istituto della Pietà, storico ente per l'assistenza ai neonati e ai ragazzi abbandonati, ha aperto le casse d'archivio del periodo della Rivoluzione di Venezia del 1848-49, giusto 170 anni fa. Una triste realtà fatta di povertà e abbandoni: storie tragiche, piccoli battezzati con nomi inventati come Nobiltà o Libertà e l'angoscia di padri soldato e madri sole.

LA STORIA
Al polso o alle caviglie dei neonati venivano legati dei bigliettini. Una banconota strappata ancora in corso legale; una collanina con un pezzetto di rame, forse una monetina di vecchio conio. E un pizzino di carta, una letterina più o meno ricca di errori o cancellature. Poi, alle volte un nome e un appello. Anzi, un grido: Viva la Repubblica. Viva Manin. Poi il bimbo, ancora in fasce, veniva lasciato sulla ruota in attesa che mani clementi lo abbracciassero e lo recuperassero. Così, quel bimbo o bimba esposta diventava figlio della Pietà, dal nome del millenario istituto ancor oggi chiamato così, a due passi da San Marco, noto anche per la presenza come istitutore del compositore Antonio Vivaldi.

LA RUOTA DEGLI ESPOSTI
Adesso, a 170 anni dalla Rivoluzione di Venezia del 1848, l'Istituto provinciale della Pietà, presieduto da Maria Laura Faccini, ha inteso ricordare quei giorni gloriosi e tragici dell'allora Governo Provvisorio, aprendo le porte dei propri archivi. E sono emersi tanti particolari inediti e curiosi. A partire non solo dall'annotazione nella Ruota degli Esposti, dove una mano anonima vidimava nei Registri la parola Governo provvisorio della Repubblica Veneta, ma anche sulle indicazioni che prepotentemente emergono dalle carte d'archivio. Principalmente la drammatica situazione sociale di Venezia. I libri contabili freddamente raccontano di ben 398 bimbi su 449 affidati alla Pietà in quel periodo, che muoiono per le pessime condizioni igienico-sanitarie. I registri, con freddo calcolo, riportano i nomi, i presunti cognomi, e poi, con una lunga striscia dolorosa, una serie di croci, una di seguito all'altra per indicare il decesso.
 
IL SIGNOR NEGLETTO
Ma se da un lato è la morte che emerge da questi documenti, c'è anche un inno alla vita. «Le istanze patriottiche - racconta l'archivista Deborah Pase - si vedevano anche dai nomi con i quali i neonati venivano abbandonati. Abbiamo trovato bigliettini di riconoscimento con i genitori, che poi sparivano, che battezzavano le proprie creature con nomi aulici: Napoleone, Garibaldi, Nicolòtommaseo (tutto d'un fiato); Vittorio Emanuele. Ma spesso e volentieri questi bimbi non avevano nè nome nè cognome. E così, toccava all'addetto alla registrazione, anche con uno spirito leggermente sbarazzino, dare le generalità ai piccoli. «Nei registri - racconta ancora Pase - abbiamo tanti nomi particolari. Un po' come saltava in mente allo scrivano: nomi tratti dalla botanica (Fiore, Oliva, Ortensia); parole di uso comune (Nobiltà, Libertà, Prudenza, Placida) così come i cognomi: i più classici come Dalla Pietà fino a Panico, Piolo, Ondata, Onda, Nessuno, Negletto, Neghittoso, Negozio». Insomma, quello che passava per la testa all'addetto. «Nomi e cognomi - chiosa Pase - che rischiavano di diventare beffardi per questi bambini destinati a rimanere outsider della società».

LA RIVOLUZIONE DEL 1848
E poco a poco, queste storie emergono dai libroni della Ruota nei quali venivano indicate tutte le circostanze anche quelle più difficili e luttuose. «Al di là dei genitori che abbandonavano i propri figli al grido di Viva la Repubblica - ricorda Pase - per la Pietà è un periodo difficile quello del 1848-49 soprattutto per l'enorme afflusso non solo dalla città e dal circondario, ma soprattutto per le difficoltà di approvvigionamento. Pur concedendo assistenza, le derrate alimentari scarseggiavano e in particolar modo, in seguito all'isolamento in cui visse Venezia in quell'anno, risultò difficile arruolare balie nelle campagne per l'allattamento dei bambini. Le conseguenze, come detto, furono tragiche con una altissima mortalità infantile».

LA STORIA DI LEOPOLDA
Tra le carte dell'archivio si trovano descrizioni agghiaccianti sui bambini abbandonati, ma allo stesso tempo emerge il dolore, l'angoscia e l'ansia di genitori o madri sole che affidano ad un bigliettino tutta la loro speranza di rivedere chissà un giorno il proprio figlio. «Un padre come quello di Francesca Leopolda Antonietta abbandonata il 12 giugno del 1848 - continua Pase - che certifica e rassicura la Pietà che la bimba apparteneva ad una buona famiglia e che sarebbe rimasta alla Pietà fino al suo ritorno perchè si trovava sul teatro di guerra. Nel biglietto c'è l'immancabile Viva la Repubblica, che non lasciava dubbi sugli ideali del genitore, ma Francesca Leopolda poco dopo un mese morì senza dare tempo al padre di poterla riabbracciare».

COSTRUIRSI UNA FAMIGLIA
Circostanze continue, ma tra lutti e disgrazie, c'era anche chi riusciva a sopravvivere. «La Pietà ricorda la presidente Faccini - sia pure attraverso congiunture per nulla facili dal punto di vista organizzativo e sanitario, cercava di consentire ai giovani di imparare un lavoro, e alle giovinette di costruirsi una famiglia. Le due strade principali erano quelle di garantire il benessere fisico e psicologico degli ospiti cercando di favorirne anche l'inclusione sociale. Un percorso impegnativo ma che è rimasto negli scopi e negli obiettivi della nostra istituzione. Sempre in quegli anni, e soprattutto in quelli immediatamente successivi, abbiamo anche molti casi di giovani, uomini e donne, che una volta usciti dalla Pietà hanno iniziato a costruire efficacemente la loro esistenza. Sono i casi di Ester e di Giorgio che, pur in condizioni difficile, chiesero di poter continuare a studiare pur tra mille sacrifici. Dopo un percorso scolastico, lei diventò maestra elementare; lui pittore diplomato all'Accademia di Belle Arti».

L'ATTIVITÀ ATTUALE
Un'opera che viene svolta ancor oggi secondo i criteri ispiratori dell'Istituto che venne fondato addirittura nel 1346 proprio con la missione di salvaguardare l'infanzia abbandonata e le madri sole. Una missione che prosegue aprendosi all'accoglienza multietnica e interculturale. «Oggi abbiamo tre comunità educative - ricorda la presidente Faccini - a Venezia e a San Donà di Piave. Qui vengono accolti minori, anche neonati, fino alla maggiore età e anche mamme con i loro figli. Tutti i bambini, oggi come allora e nel tempo, frequentano la scuola e sono inseriti in associazioni ed organizzazioni educative, ricreative e sportive, con l'assistenza del nostro personale. Cerchiamo di rispettare l'obiettivo cardine di questo istituto: intercettare i nuovi disagi dell'infanzia e dell'adolescenza; la difficoltà del rapporto con le famiglie; aiutare le mamme e, negli ultimi anni, anche papà e nonni. Un contesto generale non certo facile, ma rispettando appieno la tradizione della Pietà».
Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 11:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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