Tinto Brass compie 90 anni: «Avrei voluto fare un film con Sofia Loren»

Giovedì 23 Marzo 2023 di Giuseppe Chigi
Tinto Brass compie 90 anni: «Avrei voluto fare un film con Sofia Loren»

VENEZIA - Milanese di nascita, ma veneziano a tutto tondo, Tinto Brass compie domenica novant'anni. E li festeggerà a Roma, dove vive con la moglie-musa Caterina Varzi. Doveva diventare un avvocato, come il padre Alessandro, noto penalista veneziano, ma la passione per il cinema lo ha portato alla fine degli anni Cinquanta a Parigi a lavorare come archivista alla mitica Cinémathèque di Langlois dove incontra i registi della nascente Nouvelle vague, che assieme a Roberto Rossellini e Joris Ivens sono gli autori che ne formeranno lo stile.
Tornato a Venezia, assieme all'amico Kim Arcalli, che diventerà uno dei più importanti montatori del cinema italiano, decide di realizzare un documentario sulla storia del Novecento: "Ça ira, il fiume della rivolta".

A Belgrado, mentre lavorano al film, i due scrivono la sceneggiatura di "In capo al mondo", come si sarebbe dovuto chiamare il suo debutto al lungometraggio, ma non andò così perché la censura lo bloccò.


GLI INIZI
«Ideologicamente anti-costruttivo, antireligioso e anti-militare": questi i motivi della bocciatura: ricordo - racconta il regista - che, uscendo dalla proiezione di censura, uno dei commissari mi disse con aria severa: "Lo rifaccia, Brass, lo rifaccia". Lo ritenevano contrario al buon costume e ai valori spirituali e materiali garantiti dalla Costituzione: Dio, Patria e Famiglia». Ma testardo e anarchico com'è, Tinto non demorde: «Nel 1963, ci fu il primo governo di centro-sinistra e la censura si fece più morbida. Dopo sei mesi ripresentai il film esattamente com'era cambiando solo il titolo in "Chi lavora è perduto". Fu approvato. A dir la verità, prima di questo, insieme a Giancarlo Fusco, co-sceneggiatore del film, avevo scelto il titolo "Ghe sboro", un modo per dire che me ne fregavo di tutto».
Luigi Chiarini, allora direttore della Mostra del cinema, lo seleziona assieme a "Il terrorista" di Gianfranco De Bosio, altro film ambientato a Venezia; ma le polemiche in città si moltiplicano: «Il Patriarca, durante una predica, lo attaccò duramente per la sequenza in cui Bonifacio B. si va a confessare e il prete gli accarezza sensualmente l'orecchio».
Troppo anarchico, troppo figlio della cultura di Bataille, di de Sade, di Tanizaki, di Mallarmé, troppo cantore della pigrizia per non creare scompiglio in una società che stava, tuttavia, già cambiando: «"Chi lavora è perduto" dice Brass racconta l'amarezza di una generazione di fronte all'Italia del boom economico, racconta la delusione di un giovane trentenne che non riesce a trovare il suo giusto posto nella società d'allora. La storia era il pretesto per esplorare i percorsi emozionali e razionali del protagonista e ho cercato di esprimere la sua rabbia rispetto alle frustrazioni causategli dalla realtà intorno a lui, con ironia e disincanto, così come sanno esprimerla i veneziani».


VENEZIA NORMALE
Per la prima volta in "Chi lavora è perduto" Venezia è stata rappresentata come una città "normale", dove gli abitanti vivono, amano, discutono: «Venezia, con le sue contraddizioni, mi appariva lo scenario ideale per raccontare lo smarrimento di Bonifacio. Quando girai il film, la città era molto cambiata rispetto agli anni Cinquanta; non vi sono più tornato dopo la mia malattia e immagino che oggi somigli poco a quella che ricordo. Nonostante l'inevitabile degrado, tuttavia Venezia resta per me la "sex femelle d'Europe" di cui parlava Apollinaire, città alcova e dei sensi. L'ho detto tante volte: il significato e il significante del mio cinema derivano dal legame viscerale che sento con la città».


SERENISSIMA ALCOVA
Città alcova è quella che Brass torna a raccontare in "La chiave": «Mi piaceva far coincidere una storia privatissima, non grande, ma che potrebbe essere di tutti, in cui si mettono a nudo le sottili e sensuali trame e provocazioni e inganni dei protagonisti con il ribaltamento di tanti valori tradizionali della cultura europea. Venezia è vista con occhio molto particolare, abbastanza stilizzata, città disincantata, dove anche la gelosia diventa meno drammatica».
E poi gira ancora in laguna "Senso 45": «Lessi un'edizione francese della novella di Boito acquistata in una bancarella di libri usati sulla Senna - ricorda Brass - Il racconto era nelle mie corde e in sintonia con la mia ossessione: l'erotismo degli anni 40. Non potevo fare un remake del film "Senso" di Visconti. Così pensai a "Senso 45", un film ambientato a Venezia durante la seconda Guerra mondiale. Appresi della "Beffa del Goldoni" dal mio amico Gianni Scarabello, un episodio eclatante nella storia della resistenza veneta. Negli anni della guerra io ero sfollato insieme alla famiglia ad Asolo. Abitavamo nella favolosa villa di Eleonora Duse».
A novant'anni sta ancora pensando di girare il suo trentunesimo film "Ziva. L'isola della pace": «"Ziva" è un inno contro la violenza e la brutalità della guerra. Una speranza per ora delusa: le donne che ci rappresentano al governo, nella maggioranza e all'opposizione, sono genuflesse a Biden in un mare di ipocrisia».


LE MUSE
Molte sono state le muse del suo cinema: da Claudia Koll a Stefania Sandrelli, da Debora Caprioglio ad Anna Galiena, da Francesca Dellera a Serena Grandi. Non tutte, a film finito, forse soddisfatte del ruolo: «Stefania Sandrelli, quando si vide per la prima volta ne "La chiave", uscì dal cinema senza dire una parola, ma poi si ricredette e disse cose bellissime sul film. Avrei voluto girare anche con Sofia Loren, Monica Bellucci, ma hanno rifiutato; mi sarebbero piaciute anche donne che non erano attrici come Loredana Bertè, Alba Parietti e forse anche la Parodi, magari con lei che legge il tg, la gonna, le gambe e poco altro».
Ormai da molto tempo Brass vive a Roma al fianco della moglie Caterina Varzi in un'età in cui si fanno anche i conti con il passato, con le cose fatte o che non si sono potute fare: «Non rifarei "Yankee". Rinuncerei a girare "Arancia meccanica", che mi era stato proposto e che poi ha diretto Kubrick, per realizzare "L'urlo", forse il mio film più amato anche perché a interpretarlo c'è Tina Aumont, l'attrice che con Silvana Mangano, è tra le mie preferite».
Brass si è sempre infastidito per essere ricordato come un regista che ha realizzato una prima fase di film seri e una seconda di film erotici. Quale bilancio dunque? «Mah ai posteriori l'ardua sentenza».

Ultimo aggiornamento: 17:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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