Lettera al Gazzettino del boss Maritan: «Non volevo uccidere Lovisetto»

Mercoledì 30 Novembre 2016 di Maurizio Dianese
Lettera al Gazzettino del boss Maritan: «Non volevo uccidere Lovisetto»
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MESTRE - «Nonostante il mio impegno a non mettermi nei guai» Parla, per la prima volta dopo l'arresto, Silvano Maritan e lo fa dal carcere di Santa Maria Maggiore nel quale è rinchiuso da domenica 13 novembre, cioè da quando ha ammazzato Alessandro Lovisetto. Maritan, in una lunga lettera inviata al Gazzettino, mentre dà la sua versione dei fatti, si scusa con la famiglia di Lovisetto, «mi dispiace di quel che è successo». 
Solo dispiaciuto? Sì perché, secondo lui non si è trattato di un omicidio, ma di un incidente. La coltellata, cioè, non sarebbe stata inferta volontariamente da Maritan, ma sarebbe stato lo stesso Lovisetto a ferirsi mortalmente durante le fasi concitate della colluttazione. Lovisetto tentava di «abbracciarmi per soffocarmi» e «io agitavo il temperino davanti alle sue mani perché non mi raggiungesse». È in quel momento, secondo Maritan, che il coltello si conficca nel collo di Lovisetto.
DOMENICA 13 - Ma vediamola dall'inizio questa sequenza di morte che inizia alle 18 del 13 novembre 2016. «Qualche giorno prima di domenica 13, mi telefona la Moschino (Laura Moschino è l'ex di Maritan, ora fidanzata di Alessandro Lovisetto, ndr) e mi avvisa che le mie cose sono imballate e pronte. Io fisso il ritiro per il 13, ma siccome non posso recarmi a Noventa Maritan era obbligato a rimanere all'interno del comune di San Donà di Piave e la donna abita a Noventa mando mio nipote. Non mi consegna il Vespino perché vuole il passaggio di proprietà. La richiamo per il Vespino e per definire il mio credito circa 8 mila euro». Laura Moschino propone a Maritan un incontro per definire la storia della Vespa e dei soldi «al bar dei cinesi, dietro il Pronto soccorso dell'ospedale». Lui rifiuta. «Bar isolato, piazzale buio. Mi domando la ragione di un posto così triste. La richiamo e le offro la scelta fra più bar, ma in centro».
L'INCONTRO - «Io arrivo puntuale alle 18. Cappotto di cashmere da 2mila euro, giacca da 800, scarpe da 600 euro, pantaloni da 200. Ho deciso di vestirmi in questo modo perché, date le numerose detenzioni, non ho mai avuto modo di indossare questa roba», spiega Maritan, che aggiunge: «Se questo è l'abbigliamento per i litigi» Come dire, se devo fare a botte con qualcuno, certo non mi presento vestito come un dandy. «Andiamo al Bar Gelsomino, saliamo al piano superiore». Secondo Maritan tra lui e la Moschino c'è un colloquio disteso, pacato, senza problemi. «Le spiego che mi sono risentito che abbia usato i miei soldi per giocare alle slot con Lovisetto. Lei mi risponde che non gioca alle slot e che non ha una relazione con Lovisetto». Maritan le chiede: «Mi hai preso per tonto?»
E poi «lei per tre volte mi propone di incontrare Lovisetto. Me lo propone con tono di sfida e mani in tasca, come dire: Lo temi? Io non volevo incontrarlo, primo perché non volevo che mi vedessero con un pregiudicato Maritan per non perdere il privilegio della libertà, pur con obbligo della firma dai carabinieri, non può incontrarsi con pregiudicati e Lovisetto aveva un vecchio precedente per rapina e in secondo luogo perché, se mi scappa qualche parola di troppo o se litigo, comunque finisco nei guai».
Maritan ha gioco facile nel rifiutare comunque l'incontro con Alessandro Lovisetto visto che «di lì a 20 minuti dovevo incontrarmi con mia figlia, che viene prima di tutto». L'incontro Maritan-Moschino finisce «e non è vero che abbiamo litigato». Anzi, «baci e abbracci con la promessa che mi avrebbe consegnato quanto mi doveva».
LA LOTTA - Maritan saluta e si incammina per la piazza per andare all'appuntamento con la figlia. E qui inizia la vera e propria sequenza tragica. Mentre sta camminando, racconta Maritan, «mi sento un violento pugno alla spalla destra». Il boss non cade per terra, si volta, si trova di fronte Lovisetto e fra i due inizia uno scambio a dir poco vivace di accuse e offese. «Io cercavo di spostarmi dove avevo notato dei ragazzi, convinto che se ne sarebbe andato. Intanto agitavo il temperino davanti alle sue mani perché non mi raggiungesse». Silvano Maritan non dice che il coltello era suo, ma non dice nemmeno il contrario. E soprattutto non dice di averlo strappato dalle mani di Lovisetto, come invece ha sostenuto nell'interrogatorio davanti al Gip Roberta Marchiori. Tra l'altro quello che lui chiama temperino è invece un coltello multiuso con la lama, pur con punta arrotondata, di 12 centimetri. Roba da boy scout insomma, almeno per i suoi standard. Non certo un'arma letale. «Ad un certo punto mi giro perché una ragazza ad alta voce dice che sta per chiamare i carabinieri. In quel momento una scarica di pugni mi atterra, poi una scarica di calci. Rotolo, mi alzo, sono senza occhiali. Non ci vedevo dall'occhio sinistro perché ero stato colpito da un calcio. Mi alzo e agito il temperino per non essere colpito da scariche di pugni. Il peggio era che mi voleva abbracciare, soffocare. Si buttava in avanti e proprio in questo tentativo di evitare la lama del temperino credo si sia ferito, ahimè mortalmente, le mani segnate perché tentava di fermare il temperino. Io non avevo intenzione di colpirlo, ma di difendermi, di tenerlo lontano. Temevo l'abbraccio». C'è un momento di impasse. «Ad un certo punto gli dico: guarda che c'è troppa gente, finiamola. Lui mi fa cenno di sì con la testa e se ne va». 
Dunque, secondo Maritan nemmeno Lovisetto si rende conto della gravità della ferita. Tant'è che si trascina per parecchi metri prima di crollare al suolo. Maritan non si è accorto di nulla e dopo un quarto d'ora torna indietro a cercare gli occhiali. E viene arrestato.
GLI INTERROGATIVI - La lettera di Silvano Maritan si conclude con una serie di domande e alcune considerazioni. La prima domanda: «Perché la Moschino mi aveva dato appuntamento al bar dei cinesi, un posto buio?».
La seconda: «Perché voleva a tutti i costi che incontrassi Lovisetto?».
La terza: «Perché continuava a dire in giro che mi avrebbe fatto spaccare la testa da Lovisetto?».
E, infine, con il senno di poi, ragiona: «Io me ne sarei anche andato per evitare di litigare, ma con sette ernie non avrei avuto l'agilità di correre e avevo dolori dappertutto a causa di un incidente visto che ero stato investito da poco da un'auto. Ma se mi giravo per scappare, mi avrebbe rincorso e mi avrebbe stretto tra le sue braccia per soffocarmi, come ha tentato di fare nel corso della lite». Maritan si dispiace: «È successo quello che non doveva succedere». E aggiunge che anche Lovisetto probabilmente non voleva fargli sul serio del male: «Voleva solo lasciarmi qualche pesante segno» e «mi dispiace enormemente per quello che è successo, nonostante tutto penso anche al dolore di Laura. Io non sono indifferente alle persone che ho amato sinceramente. Provo compassione per lei».
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