Luigi Nono, il grande compositore innamorato dei suoni della città

Lunedì 24 Settembre 2018 di Alberto Toso Fei
Luigi Nono nell'illustrazione di Bergamelli
Di Venezia amava soprattutto i suoni. Diceva che era una città polifonica, nella quale bastava mettersi in ascolto per sentire le campane, lo sciabordìo dell'acqua, il suono dei passi, il rumore dei cantieri. E spesso Luigi Nono, uno dei più grandi compositori del Novecento, terminato il lavoro nel suo studio usciva di casa e si fermava – verso le sei di sera – ad ascoltare le voci dei diversi campanili.

Riprodusse anche il suono della Marangona, la campana più grande e più antica del campanile di San Marco, per una composizione per pianoforte e nastro magnetico destinata a Maurizio Pollini e dedicata a due persone alle quali era legato, scomparse da poco. Venezia fu sempre molto presente nella vita e nelle opere di Nono. E Venezia lo ricorderà tra pochi giorni nella sua Giudecca, tra il 3 e il 7 ottobre, con la seconda edizione del Festival Luigi Nono.

Nato il 29 gennaio 1924 a Venezia, secondogenito di Mario e di Maria Manetti, già nell’ambito familiare ebbe i primi stimoli per la sua formazione artistica e culturale. I genitori scelsero per lui lo stesso nome del nonno paterno, il pittore Luigi Nono, esponente di rilievo della scuola veneziana dell'Ottocento. Studiò al conservatorio di Venezia e incontrò maestri che gli cambiarono la vita, e il modo di vedere le cose: Gian Francesco Malipiero, Bruno Maderna e – più tardi – Hermann Scherchen. Nel 1942, a diciotto anni, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Padova, laureandosi quattro anni più tardi. Nel 1952 si iscrisse al Partito Comunista Italiano.

La sua visione politica e sociale non fu mai disgiunta dalla musica, e spesso utilizzò anzi testi politici nei suoi lavori: “Il canto sospeso”, scritto nel 1955 e che gli diede fama internazionale, è basato su frammenti di lettere di condannati a morte della Resistenza europea; “La fabbrica illuminata” (del 1964), per soprano, coro e nastro magnetico, denuncia le pessime condizioni degli operai nelle fabbriche di quegli anni: per comporla Nono si recò all'Italsider di Genova per incidere i rumori del lavoro che usò poi all'interno del brano. Parimenti, portò la sua musica fuori dalle sale da concerto, nelle università, nelle camere del lavoro e nelle fabbriche, dove tenne conferenze e concerti, e mise in musica testi di poeti e scrittori celebri, come Giuseppe Ungaretti, Cesare Pavese, Federico Garcia Lorca, Pablo Neruda e Paul Éluard. Fu la Germania a consacrarlo come autore di impegno antifascista: frequentò durante tutti gli anni Cinquanta i “Ferienkurse für neue Musik” a Darmstadt, dove ebbe modo di confrontarsi con compositori come Edgar Varèse e Karlheinz Stockhausen. Nel 1953 incontrò ad Amburgo Nuria Schönberg, in occasione della prima rappresentazione del “Mosè e Aronne” del padre di lei, il compositore austriaco Arnold Schönberg. Si sposarono due anni più tardi ed ebbero due figlie, Silvia e Serena.

A tal punto la sua musica era tesa a comunicare una concezione anti-capitalistica che la prima rappresentazione di “Intolleranza 1960” fu teatro di disordini dovuti alla presenza fra il pubblico di attivisti neo-fascisti, che tentarono di disturbare la rappresentazione col lancio di bombette puzzolenti, lancio di manifestini e uso di fischietti, ma non riuscirono a impedire l'esito trionfale della serata. Gli anni Settanta e Ottanta proseguirono con una sperimentazine serrata nell'ambito della musica elettronica e con l'incontro con Massimo Cacciari, col quale collaborò nella realizzazione di varie opere, incluso il “Prometeo”. L'intera parabola compositiva quasi quarantennale di Nono offre continue testimonianze di quelle istanze di rinnovamento politico e di giustizia sociale che il musicista perseguì in tutta la sua vita: “Per me personalmente fare musica è intervenire nella vita contemporanea, […] contribuire alla diffusione e propagazione di idee della lotta di classe […] non limitandosi solo alla presa di coscienza, ma producendo qualcosa per un modo di provocazione e di discussione […]. In questo senso non mi sento musicista come crede la quasi totalità dei musicisti contemporanei”.

Nel 1985 lesse sul muro di un convento di Toledo un verso di Antonio Machado – «Caminantes: no hay caminos, hay que caminar» (“Viandanti, non ci sono strade, si deve camminare”) – fonte d’ispirazione per il ciclo dei “Caminantes”.
Negli ultimi anni di vita Luigi Nono intensificò i rapporti con la Germania e nel marzo 1990 vinse il Grosser Kunstpreis Berlin, importante onorificenza conferita dalla Akademie der Künste a personalità di spicco in campo artistico. Gravemente ammalato, morì a Venezia due mesi dopo, l’8 maggio 1990. È sepolto a Venezia, sull'isola cimitero di San Michele.
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 08:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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