VENEZIA - Non solo Venezia perde abitanti, anche Mestre: in tutto il Comune sono 20mila i residenti in meno negli ultimi 20 anni. Viceversa cresce la popolazione di comuni della provincia come San Donà, Marcon, Jesolo, per restare ai primi tre. E di fronte all’inverno demografico, con poche nascite a fronte di tante morti, a garantire il ricambio sono soprattutto gli stranieri la cui presenza si è fatta è ormai strutturale in alcune zone della città, peraltro con quella nota che ha sempre contraddistinto il Comune di Venezia: l’ampia varietà delle nazionalità presenti, una decina, con in testa il Bangladesh, 8.261 presenze (20% del totale), seguito da Romania e Cina.
LA GIORNATA
Questi, i temi al centro della ricerca “Venezia Città aperta”, il convegno organizzato per domani dalla Fondazione Leone Moressa e Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari e Ava (Associazione veneziana albergatori). Ne escono numeri particolarmente interessanti, riassunti nei quattro slogan: Venezia città multiculturale; Venezia città campus; Venezia città turistica; Venezia città della pace.
IN CRESCITA
Intanto, se Venezia e Mestre perdono residenti, ci sono comuni che crescono: negli ultimi 20 anni San Donà di Piave ha un saldo positivo di 6.203 unità, Marcon di 5.450, Jesolo di 4.009; aumentano anche Santa Maria di Sala, Spinea, Pianiga, Fiesso d’Artico, Mira, Camponogara e Vigonovo. Tra chi scende, invece, ci sono realtà della provincia più lontane dal capoluogo: Chioggia, meno 4.044, Cavarzere, meno 2.614, Cona, meno 500; e poi ancora Eraclea, Concordia Sagittaria, Caorle, Portogruaro, Fossalta di Portogruaro e San Michele al Tagliamento. Nel computo totale provinciale i “più” sono maggiori dei “meno” e se nel 2001 la popolazione dell’intera Città metropolitana era di 809.586 residenti, oggi è salita a 835.895 (+26.309). In questo quadro generale, in città un’importante rilevanza hanno, da una parte, gli studenti che arrivano da altre città per frequentare le università veneziane; dall’altra il turismo, con gli hotel che, secondo il direttore di Ava Claudio Scarpa, sono «palestra di meticciato di civiltà e luoghi di cittadinanza».
I FATTORI
Sul primo aspetto è un po’ il modello Boston di cui spesso parla il sindaco Luigi Brugnaro: ragazzi che vengono a Venezia e Mestre per laurearsi e che poi possono trovare qui lavoro e mettere su famiglia. Sul secondo, è indubbio che il turismo sia la prima economia della città. «Un albergo – osserva Scarpa – è per sua natura un’azienda non delocalizzabile e quindi garanzia di stabilità e di occupazione. Ormai il 20% degli addetti è straniero. È un lavoro che assicura buone prospettive di soddisfazione personale e carriera». Molti lavoratori, infatti, trovano in questo settore il loro sbocco professionale: «La potenzialità, con l’obiettivo di trovare tutti gli addetti entro due anni, è di circa 10 mila impiegati». Ava ha lavorato molto sull’integrazione, per esempio, ricorda Scarpa, «siamo stati premiati per alcune buone pratiche come la traduzione in tantissime lingue straniere della nostra Costituzione già fatta anni fa e che vorrei ripetere; alcune accortezze per i nostri dipendenti nel periodo del Ramadan; la buona gestione di alcuni potenziali conflitti che magari possono sorgere tra esponenti di comunità straniere diverse in uno stesso contesto lavorativo». «Venezia è città dell’accoglienza, dell’incontro, del dialogo, della tolleranza, dello scambio, dei linguaggi che uniscono», sottolinea Antonio Calò, presidente della Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace.