La verità di Orsoni: «Marchi mi disse: presto non sarai più sindaco»

Venerdì 24 Febbraio 2017 di Gianluca Amadori
Enrico Marchi di Save e Giorgio Orsoni ex sindaco di Venezia
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VENEZIA - «Non ho mai ricevuto somme di denaro dall'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati né da altri. È invenzione pura». In un interrogatorio durato un'ora e mezza l'ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, imputato di finanziamento illecito, ha respinto con determinazione tutte le contestazioni formulate dal pm Stefano Ancilotto, ostentando sicurezza, al limite della sicumera, atteggiamento che fin dall'inizio ha caratterizzato la sua linea difensiva.

Soltanto verso la fine la pubblica accusa è riuscita a metterlo all'angolo, facendogli ammettere che la figlia Caterina, anche lei avvocato, ha lavorato per il Alfredo Biagini (per anni consulente legale di Mazzacurati) nella Ge.l, la società che per conto del Cvn si occupava delle procedure per i lavori del Mose. Attività svolta a partire dal 2011, quando il padre sedeva già a Ca' Farsetti. Inizialmente l'allora sindaco aveva negato rapporti con lo studio Biagini; poi, ad una seconda, più specifica richiesta, ha precisato che la figlia assunse l'incarico rispondendo ad un annuncio pubblico. «Non so esattamente con quale ruolo: i miei figli sono indipendenti, non hanno avuto alcun aiuto da parte del padre». Anche dell'iniziativa del figlio Giovanni, che nel maggio del 2015 si recò in California e suonò il campanello di casa Mazzacurati, ha detto di non aver saputo nulla: «Non rispondo di ciò che fanno i miei figli. Comunque l'ho rimproverato», ha spiegato.

Orsoni ha precisato ai giudici che non fu lui a volersi candidare nel 2010 («me lo chiesero Alessandro Maggioni e Michele Mognato del Pd, su indicazione di Massimo Cacciari»), aggiungendo di non essersi mai occupato della parte organizzativa della campagna elettorale e di non aver chiesto nulla a Mazzacurati. «Era lui a proporsi nel suo modo da padrone della città; fu lui ad insistere, dicendomi che avrebbe convinto le imprese amiche a finanziare la mia campagna. Disse che lo aveva fatto anche in passato per tutti i candidati», ha dichiarato Orsoni, spiegando di aver fornito il numero di conto del suo mandatario affinché fosse tutto in regola. «Nessun imbarazzo» nel ricevere contributi da chi stava realizzando il Mose, la principale opera in costruzione a Venezia.

Orsoni ha invece negato di aver mai ricevuto il contante - 450 mila euro - che Mazzacurati sostiene di avergli versato successivamente in nero, in parte personalmente, in parte consegnato dal suo segretario, Federico Sutto, il quale al processo ha confermato la circostanza. «Bugie», ha replicato l'ex sindaco. «Mazzacurati è rancoroso e vendicativo: me l'ha giurata perché non ho consegnato l'Arsenale al Cvn». E Sutto «racconta ciò che vuole il suo padrone». Di Mazzacurati ha aggiunto: «Mai stati amici, tra noi una semplice conoscenza».
Con alcune dichiarazioni spontanee, ha poi spiegato al Tribunale che, dopo l'arresto del giugno 2014, nonostante sia innocente ha chiesto il patteggiamento per il bene di Venezia: c'era da approvare il bilancio e da definire alcune questioni di grande rilievo. Poi si sarebbe dimesso. «Lo chiarisco oggi perché molti amici mi hanno rimproverato quella scelta: non è stato un gesto di debolezza, ma di responsabilità».

Un breve passaggio critico lo ha dedicato all'allora procuratore capo, Luigi Delpino, che non volle mai convocarlo, nonostante le sue numerose richieste, per consentirgli di chiarire i fatti, visto che le voci dell'inchiesta a suo carico erano insistenti da mesi. Infine ha riferito uno strano episodio: pochi giorni prima di essere arrestato, Orsoni incontrò il presidente della Save, Enrico Marchi, con il quale si era scontrato sui progetti di sviluppo dell'aeroporto a Tessera, e il manager lo avrebbe liquidato con una battuta inquietante: «Tra poco non sarai più sindaco». E così è stato. «Mi sono creato molti nemici», ha concluso l'ex sindaco di Venezia.
Ultimo aggiornamento: 09:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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