Nicolò Barattiero, l'architetto che innalzò le colonne e il Campanile

Lunedì 25 Giugno 2018 di Alberto Toso Fei
Nicolò Starantonio Barattiero nell'illustrazione di matteo Bergamelli
Mise a punto un sistema di carrucole che permise di completare la cella campanaria del campanile di San Marco, facendogli raggiungere i cento metri d'altezza e rendendolo così la torre più alta del suo tempo; fu il progettatore e il costruttore del primo vero ponte di Rialto e si adoperò ingegnosamente per sollevare le grandi colonne della Piazzetta di San Marco, stese al suolo da decenni in attesa che qualcuno riuscisse a raddrizzarle.

A metà strada tra l'architetto e l'ingegnere, Nicolò Starantonio Barattiero fu una di quelle figure semileggendarie che costellarono la prima storia di Venezia, quella più antica, che sconfina volentieri nel mito. Di origine lombarda, probabilmente bergamasca, se si conosce abbastanza sul suo operato, molto poco si sa invece della sua vita, se non che fu quasi certamente anche matematico e scultore, e che ebbe numerosi allievi: “Soto de lui – si legge dalla Cronaca Magno, un codice conservato alla Biblioteca Marciana – se fe de boni maistri e driedo la sua morte rimase un suo disipulo chiamà il Moritagnana bon maistro in questi lavori fo nel 1181”.

È da questo documento che si suppone che la morte del Barattiero sia avvenuta quell'anno, non avendo invece alcuna notizia certa sul luogo e sull'anno della sua nascita. Il suo esordio veneziano avvenne sotto il dogado di Vitale II Michiel (dunque tra il 1156 e il 1172) quando, assieme a Bartolomeo Malfatto, realizzò la cella del campanile di San Marco; per riuscire nell'impresa ideò dei macchinari – nei fatti delle casse di legno sollevate da carrucole, antesignane del moderno montacarichi – che resero più agevole il trasporto dei materiali sino alla cima della torre. Il doge successivo, Sebastiano Ziani (o forse Orio Mastropiero, che venne subito dopo), gli commissionò invece l'edificazione del primo vero Ponte di Rialto, in legno, con un arco o una lunga passerella sospesa sostenuta da pali; prima di allora le rive erano collegate con un ponte di barche.

Ma il suo capolavoro fu indubbiamente l'innalzamento delle grandi colonne della Piazzetta, arrivate a Venezia da Oriente svariati decenni prima, forse un secolo addirittura (secondo la leggenda ne esiste una terza che si inabissò nelle acque del Bacino durante le operazioni di sbarco, e che si sta cercando proprio in questo periodo grazie a un progetto denominato “Aurora” ideato e sovrinteso da un veneziano, il capitano Roberto Padoan); Barattiero fece bloccare una estremità delle colonne, legando alle altre un fascio di corde che, correndo lungo il fusto delle colonne stesse, andarono fissate saldamente al suolo sull’altro lato della piazza. Le corde furono poi bagnate, aumentando dunque di diametro e diminuendo in lunghezza. La trazione esercitata dall’accorciamento dei fasci di funi fu sufficiente ad alzare la testa delle colonne di alcuni centimetri. Si posero allora delle zeppe di legno sotto le colonne e si cambiarono le funi bagnate con altre asciutte, per tutte le volte che si rese necessario. In breve tempo il lavoro fu compiuto e anzi le basi robuste su cui i monoliti si innalzano tutt'oggi – decorate da sculture allegoriche – unitamente ai grandi capitelli, sono anch'essi probabilmente opera di Nicolò Barattiero e ne tradiscono il gusto bizantineggiante.

L’ammirazione per l’espediente fu tale che il Serenissimo Governo decise di premiare il Barattiero, esaudendo la sua richiesta di poter gestire una bisca per il gioco dei dadi, fino ad allora severamente proibito in tutta la città, proprio sul suolo compreso fra le due colonne.
Non solo ingegnoso, dunque, ma anche molto furbo... Per molti secoli fu quello l'unico luogo in tutta Venezia (deputato anche alle esecuzioni capitali) nel quale il gioco d'azzardo fosse tollerato. E i giocatori, dal nome del protoingegnere, vennero chiamati da allora barattieri.

 
Ultimo aggiornamento: 26 Giugno, 11:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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