Eraclea, l'ex sindaco Mestre resta in cella: «Non poteva non sapere»

Martedì 19 Marzo 2019 di Nicola Munaro
L'ex sindaco
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VENEZIA In fin dei conti, Mirco Mestre non poteva non sapere. Non poteva non sapere che i voti con cui si era aggiudicato la contesa elettorale a Eraclea fossero quelli racimolati da Luciano Donadio. E non poteva non sapere che Luciano Donadio non solo non era un nome sconosciuto alle forze dell'ordine ma anche - soprattutto - che lui fosse il boss incontrastato di un sodalizio criminale che, partito da Casal di Principe, in provincia di Caserta, si era radicato da anni sul litorale del Veneto Orientale e, nello specifico, proprio ad Eraclea.
 
LE MOTIVAZIONI
Di questo parlano le motivazioni con cui il tribunale del Riesame di Venezia ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dall'avvocato di Mirco Mestre, il penalista Emanuele Fragasso. A firmarle, il presidente del Riesame veneziano, la dottoressa Licia Marino. Nelle settanta pagine di motivazioni, il giudice argomenta il suo «no» alla scarcerazione del sindaco-dimissionario (giovedì, a mezzanotte, la sua rinuncia alla fascia tricolore diventerà irrevocabile) partendo dai primi abboccamenti della cosca casalese nel Veneto Orientale. Si parla di una ventina di anni fa.
Impossibile quindi per un cittadino di Eraclea, che di mestiere fa l'avvocato (lo era stato dello stesso Donadio, seppur in ambito civile) e che si era candidato a guida della città, ignorare chi fosse Luciano Donadio e quali fossero i suoi agganci e i suoi affari. Un'infarinatura che - spiega il Riesame - era impossibile da farsi sfuggire. Ragionamento cucito addosso dal giudice del Riesame tanto a Mirco Mestre quanto a Emanuele Zamuner, considerato il trait d'union tra l'aspirante sindaco e il boss dei casalesi in Veneto. Nell'impianto accusatorio disegnato dal sostituto procuratore Roberto Terzo infatti Zamuner (che con Mestre condivide l'accusa di scambio elettorale-politico mafioso) era colui che avrebbe tenuto i rapporti tra il sindaco e Donadio, dal momento che - come si legge nell'ordinanza del giudice Marta Paccagnella - Mestre era molto attento a non farsi notare con Donadio.
L'INCONTRO
Nella mattinata di ieri intanto, a palazzo di Giustizia, l'onorevole del Pd Nicola Pellicani ha incontrato assieme ad alcuni componenti della commissione Antimafia, ovvero il capogruppo del Partito democratico in commissione antimafia, Franco Mirabelli, accompagnato dall'onorevole Teresa Bellanova, il procuratore capo dell'Antimafia Bruno Cherchi e il Prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto. 
«La situazione è grave com'è stata dipinta - hanno commentato a fine incontro Pellicani e Mirabelli - È inutile fare polemiche sul punto o non parlarne. Perché il silenzio e il girarsi dall'altra parte sono la prima strada aperta alle mafie. Soprattutto queste, che si sono evolute, che non sparano più e che investono capitali nell'economia legale: sintomo del livello di ingerenza che c'è nella società civile. A cui - hanno spiegato - adesso è chiesto uno scatto in avanti: non si può reagire solo penalmente, deve cambiare la percezione nelle persone e nella politica». Per questo, in attesa di una missione ufficiale della commissione parlamentare Antimafia («Non è ancora stata calendarizzata in Veneto, serve volontà politica per farlo»), è stata avanzata l'ipotesi della creazione di una Commissione Regionale Antimafia che, come prima cosa, riapra l'Osservatorio di Venezia.
LA PRESA DI COSCIENZA
E un cambio di passo c'è stato ieri pomeriggio a Eraclea. Rispondendo al vicesindaco (indagato) Graziano Teso, che aveva bollato tutto come «propaganda politica del Pd», Pellicani ha replicato «allora dice che c'è un problema, non neghi il confronto e vada a parlare coi magistrati». Questo mentre il paese delle 400 firme a sostegno del sindaco, sta un po' alla volta cambiando pelle. «Non si poteva non sapere. Queste persone abitavano nel nostro territorio da molti anni». Così ieri Eraclea ha accolto la visita dell'Antimafia. Parlando, dopo un mese esatto, di «mancanza di etica politica».
Nicola Munaro
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