Porto Marghera cent'anni dopo: la nascita dell'dea di "Grande Venezia"

Mercoledì 1 Febbraio 2017 di Adriano Favaro
L'arco simbolo di Porto Marghera
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Il 1. febbraio 1917 la Germania annuncia lo sviluppo “della guerra sottomarina contro i bastimenti di qualsiasi nazionalità in arrivo o in partenza dalla Gran Bretagna”. Poco tempo dopo entrano nel conflitto, contro le forze austro-germaniche, anche gli Stati Uniti. A febbraio comincia a San Pieroburgo, quella che verrà ricordata come la “rivoluzione d’ottobre” della Russia. In quel giorno nasce di fatto anche Porto Marghera, zona industriale che cambierà faccia al Nordest d’Italia e all’intero paese. 

La proposta che il capitano marittimo Luciano Petit aveva lanciato nel 21 gennaio 1904 all’Ateneo Veneto - di ampliare il porto di Venezia non alla Giudecca come molti chiedevano, ma a Marghera “ai Bottenighi” - idea rivoluzionaria chiamata della “grande Venezia”, prende forma. Si costituisce il 1. febbraio 1917, per iniziativa dei maggiori enti industriali di Venezia, il “Sindacato di studi per imprese elettrometallurgiche e navali del porto di Venezia” (presidente è Giuseppe Volpi) al fine di “favorire lo sviluppo del Porto di Venezia“.  L’iniziativa, finanziata e programmata nei dettagli, funzionerà. Il 10 maggio 1917 l’ingegner Enrico Coen Cagli presenta a Roma il progetto di Porto Marghera e il 15 il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici lo approva. Il consiglio comunale di fatto aveva ratificato (i socialisti, all’opposizione, parlano di “ponti d’oro” a chi investe a Venezia) e il 23 luglio 1917 viene firmata nella capitale la “Convenzione per il nuovo porto di Venezia in regione di Marghera”. La nascente “zona urbana di Venezia” potrà ospitare 30mila abitanti, superando i 22mila di Mestre. Il territorio di Marghera - 896 abitanti il 31 dicembre del 1916, in gran parte contadini che portavano latte in laguna - viene scorporato dal comune di Mestre e aggregato a Venezia. L’idea di una “Grande Venezia” partiva dalla fine dell’800 con l’esposizione internazionale d’arte, il rilancio del turismo al Lido; la Ciga. Uno dei primi primo segnali del cambio fu nel 1884, quando la fabbrica dei concimi dei fratelli Cadorin che stava alla Giudecca (si usavano i fanghi dei rii scavati) fu traslocata in terraferma; attività incompatibile con la città.

In quel 1917 nemmeno Caporetto, che nell’ottobre provoca la ritirata fino al Piave, fermerà Porto Marghera. Venezia era già dal 1901 la sola provincia industriale del Veneto, 148mila persone (più abitanti che a Bologna), un terzo del totale della provincia, il 44% occupati nelle industrie. Con la guerra e il fronte sul Piave un abitante su tre lascia la città, spariscono quasi tutte le attività produttive: nella Serenissima il libretto di povertà diventa regola.
Intanto nel 1917 era stata elettrificata la linea per San Giuliano e il tram arriverà fino alla stazione. La terraferma cresce e nel 1925 (a Marghera lavorano già oltre 6mila persone), all’Ateneo Veneto l’ingegner Achille Bassetti, capo dell’ufficio tecnico della Metro di Milano, presenta la metropolitana sublagunare ideata dal veneziano Antonio Salvadori che prevedeva “una ferrovia sotterranea da Marghera al Lido per togliere quell’assurda condizione per cui occorre meno tempo per andare dalla Francia all’Inghilterra attraverso la Manica da quello che s’impiega dagli Scalzi al Lido in vaporino”.

Non è il futuro previsto da Marinetti ma l’ondata modernista cresce. Nel 1935 le pagine della Gazzetta di Venezia riportano il giudizio di Roy S. Mac Elwee commissario al porto di Charleston: “Un giorno il conte Volpi potrà essere canonizzato come San Volpi di Marghera” . Nello stesso anno il senatore e deputato Girolamo Marcello in un pamphlet ricordava che prima di Porto Marghera: “La nostra città stava crollando e morendo, che molti palazzi erano vuoti e spogli perché mancano famiglie abbastanza ricche per abitarli”. E rimpiangeva l’inedia di “Venezia che ebbe pur sempre a cuore le comunicazioni e che al principio del XVI secolo pensò pure al taglio dell’istmo di Suez”. Pochi anni prima, 1930, un documento degli industriali spiegava che la forza lavoro per le industrie andava reclutata in quel “cenerentolo dei campi” che “s’adatta anche volentieri ai lavori più faticosi”.  A loro modo avevano già previsto il “metalmezzadro”, la figura che trasformerà il Nordest.
Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 08:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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