Uomini in crisi e adolescenti disastrati nelle storie di Matteo Bussola: «La fragilità maschile è ancora un tabù»

Lo scrittore, fumettista e conduttore radiofonico veronese torna in libreria con "Un buon posto in cui fermarsi" edito da Einaudi

Domenica 2 Luglio 2023 di Raffaella Ianuale
Matteo Bussola e il suo libro Un buon posto in cui fermarsi (Einaudi)

VERONA - VENEZIA - Uomini fragili, adolescenti disastrati che si infliggono ferite, manager di successo che mollano tutto e trovano la felicità nel zappare la terra in un casolare decadente. «Attraverso la scrittura amo entrare nelle zone più buie per scardinarle» dice Matteo Bussola, 51 anni, veronese della Lessinia, scrittore, fumettista e conduttore radiofonico. Laureato in architettura allo Iuav di Venezia, è sposato con la scrittrice Paola Barbato e ha tre figlie: Virginia di 16 anni, Ginevra di 12 e la piccola di casa Melania di 10 anni. Dopo aver scavato nell'universo femminile in "Rosmarino non capisce l'inverno", si ripresenta in libreria, sempre per Einaudi, con la raccolta di racconti "Un buon posto in cui fermarsi", quindici storie declinate al maschile.

Personaggi come Stefano, Arnaldo, Salomon, Pietro, Misha e altri che vivono all'interno di una singola narrazione, ma che poi ritornano in altri capitoli dando ai racconti l'intreccio di un romanzo.

Perché ha scelto uomini in difficoltà per le sue storie?
«La fragilità maschile è ancora un tabù, siamo legati all'immagine dell'uomo macho e padre di famiglia. Ma la fragilità dei miei personaggi non è vista come una debolezza, anzi sono uomini che dopo una caduta, un fallimento riescono a rialzarsi. A tutti può presentarsi qualcosa che non vorremmo accadesse mai, quindi desidererei trasmettere la suggestione che è sempre possibile ripartire».

I ragazzi autolesionisti o rinchiusi in cameretta che descrive sono reali?
«Io scrivo quello che vedo: fuori ci sono tanti adolescenti disastrati. L'adolescenza è sempre un periodo difficile, ma dopo la pandemia la situazione è precipitata. Sono stati bloccati per due anni e come unica fuga hanno avuto i cellulari e i social dove sono tutti belli e felici. Ci sono ragazzi che dopo il Covid non sono tornati a scuola, non sostengono il confronto con gli altri, non si sentono all'altezza. L'autolesionismo, che già c'era, è esploso quasi come un contagio: tagliarsi e bruciarsi per provare qualcosa e sentirsi ancora vivi. Sono storie purtroppo ordinarie, non a caso le Neuropsichiatrie infantili sono affollate».

Quanto c'è di autobiografico nell'uomo che lascia una carriera di successo per una scelta incomprensibile ai più?
«La felicità non sta nel raggiungere la vetta. A volte ci sono carriere importanti, prestabilite che non corrispondono a vite serene. Così capita di "sabotare" la propria esistenza. Io lavoravo come architetto in Comune e ad un certo punto ho cambiato vita: una scelta dagli esiti incerti con un pesante contraccolpo economico. Ho iniziato a fare il fumettista. Ho l'impressione che la felicità dipenda da dove volgi il tuo sguardo. La felicità è desiderare ciò che hai, senza guardare con nostalgia quello che hai avuto».

Che messaggio c'è nel titolo "Un buon posto in cui fermarsi"?

«Vuole disinnescare la ricerca costante. I miei protagonisti, anche quando hanno la schiena a terra, sono uomini che decidono di stare in un luogo o con una persona. Quindi è un invito allo stare e all'abitare il momento in cui si vive».

Nei suoi racconti però c'è sempre "un'apertura" per tutti.
«Il compito del romanziere non è insegnare, ma aprire finestre per guardare con altri occhi. Mi piace il termine "apertura" e anche il tema della moltiplicazione dei punti di vista. Nei miei racconti c'è il ragazzo che si infligge ferite e c'è anche il padre arrabbiato che pensa "io ti ho dato la vita e tu ti permetti di danneggiarla". Non esiste giusto o sbagliato assoluti. Dipende dal punto di vista e dall'empatia. Ecco, il segreto sta proprio nell'empatia che si crea».

Perché un libro di racconti con l'intreccio del romanzo?
«Mi piace ingaggiare dei giochi con i lettori: pensano di leggere "solo" un libro di racconti e invece i personaggi ritornano. Queste singole vite sono in realtà i capitoli di una storia più grande. Poi c'è la convinzione che i libri di racconti non vendano, quindi ho usato una forma ibrida, che non ho certo invento io, basti pensare a Elizabeth Strauss».

Una frase di Hemingway e la strofa di una canzone di Madame in prima pagina, perché?
«Il grande vecchio e il nuovo: le due polarità. Sono appassionato di cantautrici e penso che Madame scriva testi che sono spade, ti penetrano. Il brano scelto raccoglie in sintesi le mie storie».

A chi consiglia il suo libro?
«Non solo agli uomini, penso sia un libro per chiunque. Testimonia il coraggio: quello che fa la differenza è saper cogliere che la vita ti possa portare in posti improbabili, capire che non è fatta solo da quello che ti capita o che scegli».

Matteo Bussola è fumettista, scrittore o un conduttore radiofonico?
«Io nasco fumettista, anche se ero un bambino che non sapeva disegnare. I fumetti hanno avuto un ampio spazio nella mia formazione e per sentimenti, narrazione, atmosfere provo un grande amore per Manga e Anime. In realtà mi piace raccontare storie. E queste storie a volte le disegno con la matita, a volte le narro con le parole, altre volte ancora, alla radio, creo lo spazio perché vengono raccontate dalle parole di altri».
 

Ultimo aggiornamento: 3 Luglio, 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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