Il frate degli Zoccolanti sepolto vivo, uno scandalo a Venezia

Sabato 19 Novembre 2016 di Albeto Toso Fei
Il frate degli Zoccolanti sepolto vivo, uno scandalo a Venezia
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A Venezia la Pasqua del 1561 non fu come tutte le altre. A partire dalla mattina del Venerdì Santo, infatti (era il 4 aprile) sulla bocca di tutti in città vi erano solo i frati Zoccolanti di San Giobbe. La confraternita francescana, che viveva delle offerte dei veneziani, finì nell'occhio del ciclone dopo che un giovane servitore del procuratore di San Marco Zaccaria Vendramin, recatosi il giovedì pomeriggio in chiesa per confessarsi, prese sonno in un angolo durante la lunga attesa e finì per rimanervi chiuso dentro, perché nessun frate si accorse di lui. 
A hore 4 in 5 incirca si legge da una lettera del mercante Giulio Olgiato al padre Luca, del 10 aprile successivo, finita nel fascicolo processuale del 1561 e scoperta dalla storica Lara Pavanetto gli parse a sentir (al servitore, ndr) un brontolamento per il quale si svegliò. Ciò a cui assistette il giovane (i documenti spiegano che aveva circa diciotto anni), lo atterrì: i frati del convento entrarono in chiesa illuminando i loro passi con grandi candelieri a due braccia, li quali cantando esequie da morto portavano uno de li suoi fratti ligato per li piedi e le mani pur vivo con uno sbadachio in boca (un bavaglio) et da li ditti fratti è sta sepolto vivo. et dappoi smaltato il monumento se partirno.
 
Il ragazzo si guardò bene dal palesarsi, temendo di fare la stessa fine, ma quando si fece mattina e la chiesa fu riaperta scappò a casa: l'accoglienza di Zaccaria Vendramin fu abbastanza divertente: gli chiese dove fosse stato fin a quell'ora, gli rinfacciò di averlo mandato a confessarsi e che il servo lo aveva ripagato andando a star con la putana. Ma quando l'altro gli riferì pieno di spavento ciò a cui aveva assistito, non esitò a denunciare la cosa al Consiglio dei Dieci e poi all'Inquisizione.
Dalle poche pagine del fascicolo depositato all'Archivio di Stato ai Frari si evince come la vicenda fu un grande scandalo all'epoca; i fogli redatti a mano da una scrittura elegante e minuta riportano le voci dell'epoca; di come alcune persone si recarono nella chiesa di San Giobbe e tirarono fuori il frate dall'arca dove era stato sepolto (ancora vivo, per sua fortuna) e di come per un lungo periodo i francescani Zoccolanti se la passarono male: quando ne veniva incontrato uno per strada la cosa migliore che potesse accadergli era di essere offeso.
A seguito dello scalpore intervennero i Procuratori della Fabbrica di San Giobbe, Benedetto Venier, Francesco Soranzo e Benedetto Giustinian, che scrissero ai Savi all'Eresia; dopo una istruttoria un po' frettolosa e non priva di ombre i Savi condannarono la storia bollandola come falsissima e opera degli eretici, e promettendo una ricompensa a chi avesse denunciato il colpevole di averla diffusa.
La scoperta della vicenda del frate sepolto vivo si deve, come si diceva, alla storica noalese Lara Pavanetto, laureata in Storia delle Istituzioni politiche e sociali e Ca' Foscari e non nuova a questo tipo di ritrovamenti d'archivio. Nel 2012 ha dato infatti alle stampe Un sacrificio di sangue (LaToletta Edizioni), che narra di un delitto rituale maturato a Castello all'antivigilia della battaglia di Lepanto; ma anche Streghe o vittime? (Franco Filippi, 2015), costituito dalle vicende di tre donne accusate di stregoneria in epoche diverse. In questi giorni, ancora scritto da lei e basato su documenti d'archivio, sta uscendo per i tipi di Villaggio Maori Edizioni Crocifissione di Matteo Lovat, storia della auto-crocifissione di un calzolaio a Cannaregio, nel 1805.
Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 10:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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