Giovanni Stucky, il papà del Molino e l'assassinio che sconvolse la città

Lunedì 21 Maggio 2018 di Alberto Toso Fei
Giovanni Stucky ritratto da Matteo Bergamelli
Giovanni Stucky (1843-1910) imprenditore

Giovanni Stucky su Venezia aveva puntato tutto, arrivando a chiamare Ernst Wullekopf (una celebrità, nel panorama architettonico di fine Ottocento) per fargli costruire il suo avveniristico Molino, che cambiò per sempre lo skyline della Giudecca ma soprattutto diede un impulso determinante all'industrializzazione dell'isola. Stucky aveva un bel po' di coraggio nell'investire i suoi soldi e una grande immaginazione; ma non poteva prevedere quando e come sarebbe morto. Così, quel 21 maggio 1910 varcò ignaro la soglia della stazione ferroviaria di Venezia, finendo per incontrare il rasoio di Vincenzo Francesco Bruniera, un suo dipendente che si era ritenuto danneggiato da promesse mai mantenute. Venezia intera ne rimase sconvolta: Stucky, pur essendo di cittadinanza svizzera e formalmente di lingua tedesca (ma venezianissimo nel cuore e nelle espressioni), era stato uno dei sostenitori più convinti della Biennale; frequentava abitualmente il sindaco-poeta Riccardo Selvatico; era un benefattore, una personalità eclettica dotata di un genuino pragmatismo imprenditoriale che assieme a una visione futuristica delle cose nel 1880 gli aveva permesso di realizzare il suo azzardo più bello: il Molino alla Giudecca, appunto.

Perché, al di là delle origini, Giovanni Stucky a Venezia ci era nato il 27 maggio 1843 sebbene le radici – recentissime – della sua famiglia risalissero a Münsingen, un piccolo villaggio del Bernese dal quale negli anni trenta dell'Ottocento era partito a piedi suo padre Hans per emigrare a Treviso e aprirvi un piccolo mulino sul fiume Sile. Gli Stucky avevano il pallino dell'imprenditoria, erano affascinati da ogni nuovo ritrovato tecnologicamente avanzato e non mancavano di intraprendenza, unita a una sana ambizione. A Budapest, nell'allora Austria-Ungheria, Giovanni Stucky aveva studiato le tecniche più avanzate dell'arte molitoria, che dalla ruota a pietra era passata ai cilindri metallici; mise a buon frutto la lezione: il Molino della Giudecca, dalla produzione iniziale di cinquecento quintali di farina al giorno, arrivò a raggiungere una superficie totale di trentamila metri quadrati, per una produzione di duemilacinquecento quintali. I mille e cinquecento operai che vi lavoravano lo facevano anche di notte: nell'edificio – al quale furono presto aggiunti un pastificio e un nuovo grande silos da ottantamila quintali di grano – fu utilizzata per la prima volta in città energia elettrica a scopo privato.

Lo Stucky entro breve divenne il simbolo di una città in piena espansione industriale. A tanta ricchezza non corrispondeva antipatia verso la famiglia, anzi: Giovanni Stucky era un uomo divertente e alla mano, ed era molto amato; aveva tre figlie e un unico erede maschio, Giancarlo; la mattina stessa del suo assassinio era stato visto fare colazione in grande allegria col figlio, che poi lo accompagnò fino in stazione. Lì, si consumò tutto in pochi istanti: Giancarlo camminava davanti al padre quando, voltandosi, vide Giovanni Stucky accasciarsi a terra con la gola squarciata; tentò di tamponare il sangue ma la ferita era troppo profonda: Stucky morì in un paio di minuti, senza poter proferire parola.

Bruniera, che era già stato in carcere per minacce all'imprenditore (e sul quale aleggiò sempre l'ombra del disagio mentale, sebbene durante il processo avesse mostrato una grande lucidità) fu inseguito dalla folla e fermato al ponte degli Scalzi.
Condannato all'ergastolo morì nel 1943. Dopo la visita autoptica, il giorno successivo la gondola di famiglia riportò il corpo dell'imprenditore a casa, a Palazzo Grassi, dove iniziò una lunga processione di persone che non si interruppe fino ai funerali. L'eredità fu raccolta dal figlio Giancarlo che, anche a fronte della concorrenza spietata dei nuovi trasporti su rotaia, non riuscì a fermare il lento ma inesorabile declino del Molino. Le attività dello Stucky cessarono definitivamente nel 1954, nonostante una lunga occupazione dello stabilimento da parte degli ultimi cinquecento operai che cercarono a tutti i costi di salvare il loro lavoro e con esso anche il futuro della fabbrica.

 
Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 09:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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