Le frittelle, un dolce servito in Quaresima: col Carnevale non c'entravano niente

Domenica 11 Febbraio 2024 di Alessandro Marzo Magno
Le frittelle, un dolce servito in Quaresima: col Carnevale non c'entravano niente

Puntuali come le maschere, ogni anno a Carnevale compaiono le discussioni sulle frittelle, o fritole se preferiamo la parlata avita. Come una volta con uvetta e pinoli, oppure imbottite con crema chantilly o zabaione? E qual è la ricetta originale? Sull’originale si scatena l’orgia dei punti di vista, anche perché quasi mai e per nulla esiste una ricetta originale, salvo il caso di piatti recenti che abbiano un’origine ben precisa, tipo il carpaccio o il tiramisù.
Invariabilmente compaiono “ricette originali” che sono quelle della propria nonna, senza pensare che anche le nonne degli altri avevano la propria “ricetta originale”.

Com’erano fatte le frittelle che si vedono nel quadro di Pietro Longhi “La venditrice di fritole”, dipinto attorno al 1750 e oggi esposto al museo di Ca’ Rezzonico, a Venezia? E chi lo sa. L’unica cosa certa è che erano bucate perché dopo fritte le si infilava in un bastone, in attesa dei compratori. 


L’ORIGINE INCERTA
La ricetta più antica al momento conosciuta è del 1841 (quindi potrebbe essere simile a quella del quadro di un secolo prima) ed è molto poco nota perché si trova all’interno di un libro che non ha a che fare con la cucina. Si intitola “Scene di Venezia e municipali suoi costumi”, l’autore è Pietro Gaspare Moro Lin, un artista appartenente alla famiglia ex patrizia. Dentro ci si trova un po’ di tutto, uno zibaldone. A pagina 207 è scritto: «A Venezia da tempo remotissimo si usa certo dolce mangiare che appellasi fritole. Esse compaiono per tutto dove è festa». E poi viene anche spiegata la ricetta: «Composte di fiore di farina di formento, rimpastate a lievito unito a pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle vite calabre, vengono colate nell’olio bollente».


ALLA VENEZIANA
La ricetta base delle frittelle alla veneziana, quindi, molto simile a quella riportata nel primo ricettario a stampa di cucina veneziana, pubblicato nel 1908 da Sonzogno. «Si prenda un po’ di lievito di Vienna che, sciolto in acqua, va incorporato con la quantità voluta di farina bianca finissima. A seconda delle stagioni si colloca il recipiente di legno contenente la pasta più o meno vicino al fuoco. Quando incomincia a levare, si aggiungano uva malaga, pignoli, cedro candito e uno o due bicchierini di liquore, rimestando con forza e facendo in modo, nell’aggiungere nuova farina, che la pasta resti semiliquida. Si torni a riavvicinare al calore, coprendola con un panno, fino a che levi nuovamente. Si tolga un cucchiaio per volta dalla pasta e la si frigga nell’olio o nello strutto bollente». Da qui si può partire a parlare di frittelle alla veneziana. Fatte in questo modo hanno però un problema: devono essere mangiate appena fritte, calde, perché induriscono a mano a mano che si raffreddano. Quindi sono state aggiunti latte e uova in modo da “ingentilire” l’impasto e da ottenere una frittella che possa stare sui banconi delle pasticcerie senza diventare dura come il sasso. 


CIBO PER RIFLETTERE
Interessante notare alcune cose: in nessuna delle due ricette si evidenzia un legame col Carnevale. Le frittelle si mangiavano un po’ tutto l’anno. «A seconda delle stagioni» scrive il ricettario del 1908; quello del 1841 è ancora più sorprendente: «Nella quadragesima in ispecialità si vendono per tutti quasi li campi, poiché li viniziani non vogliono vedere deserta di fritole la loro mensa quaresimale». Insomma, le frittelle sono qui descritte come un dolce da Quaresima. D’altra parte, siccome non contengono latte, e qualora fritte nell’olio e non nello strutto, non contravvengono alle prescrizioni della chiesa cattolica sugli alimenti proibiti nei giorni di magro. Il libro del 1841 è ricco di altri particolari, per esempio descrive i chioschi in cui si vendevano. «La fabbrica in cui si fanno è una trabacca che per assomigliare a quella militare le manca soltanto la tela che serve di padiglione. Questa invece ha il coperto o il tetto di tavole compaginate e messe a piovere. Quadrangolare ha la forma e internamente presenta la figura di una stanza. Essa è il Palladio delli fabbricatori che stanvi dentro, i quali da una parte rimpastano e dall’altra friggono in una padella sovrapposta a un tripode. Il davanti è il luogo della mostra solenne, a questa mostra dà un quadretto piacevole assai a riguardarsi. I principali cocitori sono notissimi in Venezia, e superbi di questo lor primato, vollero che nel laboratorio, a distinzione degli altri, s’innalzasse un’asta, avente in cima un cartellone in cui stesse scritto il loro nome». 


E PURE “BIANCHE”
Pure attenti al marketing, i fritoleri veneziani. Ricette più antiche ce ne sono, ma non hanno molto a che vedere con le frittelle come le intendiamo noi. Il “Libro per cuoco” è un manoscritto anonimo di fine XIV-inizio XV secolo che si ritiene di ambiente veneziano. La ricetta per le “Fritelle bianche” richiama un po’ quelle che diventeranno le fritole: «A fare fritelle bianche toy late de mandole e formento, e sfarinato destempera insieme e lassali levare, po’ fa le fritelle. Quando sono cocte, polverizali del zucharo e sono buone». Mancano uvetta, pinoli e si usa il latte di mandorla, quindi qualche affinità si rileva, salvo passare, un paio di secoli dopo per Bartolomeo Scappi e la sua “Opera” (1570) che fornisce la ricetta per le “frittelle alla veneziana”. Sono loro? Mica tanto. Tra gli ingredienti compaiono latte di capra, zafferano e acqua di rose. Quindi bisogna pestare il composto nel mortaio di pietra per un quarto d’ora (andrà bene lo sbattitore elettrico?), poi trasferire il tutto in recipiente di rame o di legno e mescolare finché non si raffreddi. A quel punto vanno aggiunte ventiquattro (24!) uova, in modo che la pasta diventi liquida. C’è il sospetto che una volta fritte assomiglino più a una frittata che alle frittelle. 


LA ZALABIA
Un filone di pensiero vorrebbe che a portare le frittelle a Venezia sia stato un medico di Cremona, Giambonino, che a fine Duecento traduce un testo del medico arabo Ibn Jazla, “Liber de ferculis et condimentis” dove si trova la ricetta di quella che ancor oggi si chiama zalabia: pasta fritta e cosparsa di miele. Una preparazione del tutto simile agli struffoli che si preparano in gran parte dell’Italia meridionale. Paragoni quantomai arditi, in definitiva. Per trovare le antenate delle frittelle veneziane, al momento non si può ragionevolmente andare più indietro del 1841: le ricette precedenti sono troppo diverse e mancano i collegamenti tra le une e le altre. Accontentiamoci delle ricette dei nostri nonni senza voler millantare originalità che sono impossibili da stabilire.
 

Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 14:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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