Francesco Barozzi da Creta, il matematico che finì nel mirino dell'inquisizione

Lunedì 31 Luglio 2017 di Alberto Toso Fei
illustrazione di Matteo Bergamelli
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Capofila negli studi che consentirono la rinascita della geometria sulla base delle opere di Euclide e nello stesso tempo mago evocatore di spiriti; traduttore dal greco e dal latino, ma anche imputato in due processi per eresia. Francesco Barozzi, patrizio veneziano proveniente da una famiglia con importanti possedimenti a Candia, incarnò perfettamente la cultura cinquecentesca nella quale era immerso, in cui convivevano la passione umanistica per la riscoperta della matematica e la mentalità magica, astrologica ed ermetica.

Quando vi nacque, il 9 agosto 1537, Creta era veneziana da più di tre secoli ma soprattutto era diventata il fulcro dell’antica sapienza greca verso l’Italia, dopo la fuga degli studiosi bizantini da Costantinopoli, caduta in mano turca. E con le navi veneziane – da Oriente – in città non arrivavano solamente spezie pregiate e tessuti impareggiabili, ma anche conoscenze e credenze astrologiche, esoteriche e magiche, che specialmente nel Cinquecento si diffusero tanto tra i popolani – sempre pronti a credere a qualsiasi ciarlataneria venisse loro spacciata per verità inconfutabile – quanto tra i nobili.

Autore assai prolifico, Barozzi (che si era formato a Padova e aveva poi deciso di stabilirsi a Venezia, dove rimase tutta la vita, tranne qualche soggiorno nei suoi possedimenti cretesi) tradusse i matematici greci Erone, Pappo e Archimede; scrisse brillanti trattati di geometria e cosmografia, e nel 1572 pubblicò un manuale sulla Rithmomachia, dedicato a un gioco matematico medioevale noto anche come “gioco dei filosofi”.

Fin qui il Barozzi matematico e astronomo. La sua attività parallela di negromante gli causò invece guai seri: nel 1583 subì un primo processo da parte dell'inquisizione, che lo chiuse per un certo periodo in un monastero. Non sono note le accuse di questo primo provvedimento, ma il patrizio non esitava a farsi vanto di poter far comparire, all’interno di un cerchio tracciato col sangue d’un uomo ucciso, qualsiasi spirito dell’aldilà; affermava di aver trovato a Candia un’erba che lui chiamava “felice”, capace di far diventare sapiente anche il più grosso asino del mondo, e diceva di conoscere il segreto per far tornare nel suo borsello gli zecchini appena spesi.

Non nascondeva nemmeno la sua capacità di rendersi invisibile, ma non riuscì evidentemente a farne uso nel momento in cui fu scoperto e catturato, per essere poi giudicato dal Santo Uffizio, il 16 ottobre 1587, questa volta per “apostasia e sospicioni di heresia”. Secondo i giudici, Francesco Barozzi aveva compiuto e insegnato al figlio, alla figlia e al genero Daniele Malipiero, processato e condannato con lui, “varie superstizioni e divinazioni”.

Aveva evocato a Creta uno spirito in forma di fanciulla, e gli aveva chiesto “le cose future et secrete”; sempre a Candia, dove aveva avuto contatti con “due sorelle maghe et strighe”, aveva causato una tremenda tempesta “secondo l'arte insegnata da Cornelio Agrippa et da Pietro d'Abbano”. Fu condannato a fornire croci d’argento per l’equivalente di 50 ducati all'arcivescovo di Candia e per altri 50 ducati al vescovo di Rettimo e a restare incarcerato ad arbitrio del Santo Uffizio. Non si sa se e quando riottenne la libertà: degli ultimi vent'anni della sua vita mancano notizie. Morì a Venezia il 23 novembre 1604, per un colpo apoplettico.
Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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