Nel veneziano donne lavoratrici pagate in media 8.000 euro in meno degli uomini

Venerdì 8 Marzo 2024 di Valeria Turolla
foto di repertorio

VENEZIA - Nella Giornata Internazionale delle Donne, Cgil accende i riflettori sulla disparità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici.

Anche nell’area della Città Metropolitana di Venezia, infatti, a parità di prestazione professionale le donne continuano ad essere pagate meno dei colleghi maschi. A rivelarlo sono stati i dati prodotti dall’indagine condotta dalla Camera del Lavoro sulle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti privati, pensionati e pensionate, nella provincia di Venezia che elaborando i dati Inps, Istat e Veneto Lavoro ha confermato la persistenza di un forte divario salariale tra uomini e donne oltre che la maggior precarietà dei contratti offerti alle lavoratrici.


DIFFERENZA SALARIALE
Dal rapporto si evidenzia come la differenza salariale tra i due sessi riguardi tutti i settori determinando un divario di circa 7mila euro per i contratti a tempo pieno che sale a 9.500 euro per le lavoratrici assunte a tempo indeterminato. In particolare, nel settore del turismo e della ristorazione, primo comparto per l’occupazione femminile, la differenza si attesta a circa 4mila euro, mentre in quello manifatturiero, dove è più alta la presenza degli uomini, il gap supera addirittura gli 8mila euro annui. Se gli uomini assunti a tempo pieno raggiungono mediamente i 28.421 euro l’anno, le donne arrivano invece solo a 21.603, dato che risulta ancor più significativo sulle retribuzioni complessive che vedono gli uomini raggiungere un reddito medio di 25.522 euro e le donne fermarsi a 17.021.
«A Venezia le donne lavorano meno ore degli uomini e in condizioni peggiori – dichiarano Giusy Signoretto, segretaria metropolitana con delega alle politiche di genere, e Daniele Giordano, segretario generale della Cgil Venezia - Servono misure straordinarie a sostegno dell’occupazione femminile, a partire da seri investimenti negli asili nido e in tutti gli strumenti di welfare». Nell’area della Città metropolitana, infatti, se per gli uomini i contratti a tempo pieno rappresentano l’82,5% del totale, per le donne il dato si abbassa al 49,6%, confermando che la maggior parte delle lavoratrici è assunta solo part-time con evidenti ricadute anche sulle capacità di sviluppo e di crescita professionale. La scelta del contratto a tempo parziale sarebbe dovuta soprattutto alla necessità per le donne di farsi carico dei bisogni della famiglia, mettendo in luce le carenze del sistema di welfare. «Le basse retribuzioni - proseguono Signoretto e Giordano - e la forte condizione di precarietà sono un elemento che può segnalare un primo tipo di allarme, anche di fenomeni di “violenza economica”. Si tratta del controllo economico esercitato sulla donna, anche dal proprio partner: impedendole di trovare lavoro e diventare autonoma».
I dati relativi al 2021 mostrano come le donne tra i 25 e i 34 anni escluse dal mercato del lavoro rappresentino il 17,91%, gli uomini il 9,4%. Tra i 45 e 54 anni il divario aumenta, con il 23,76% delle donne che non ha percepito alcun reddito nell’arco dell’intero anno, mentre gli uomini nella medesima condizione risultano solo il 10,39% del totale. Tendenza confermata anche dai dati sulle nuove assunzioni nel primo semestre ‘23 che registrano come i contratti a tempo indeterminato per le lavoratrici siano stati l’8,17% contro il 10,4% di quelli degli uomini. Non sono migliori i dati Inps sulle pensioni, con un divario ancora maggiore rispetto a quello del reddito da lavoro dipendente. Per le pensioni di vecchiaia, la tipologia prevalente, gli uomini percepiscono in media 23.905 euro lordi l’anno, mentre le donne solo 14.581. Nel totale delle prestazioni previdenziali le donne percepiscono solo il 58% della pensione media di un uomo.
 

Ultimo aggiornamento: 15:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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