A Venezia le donzelle per il Duca: i dispacci piccanti dell'ambasciatore sulla Serenissima

Martedì 7 Agosto 2018 di Alessandro Marzo Magno
Barbara Strozzi
Ritrovati all'Archivio di Mantova alcuni dispacci piccanti dell'ambasciatore di Carlo II Gonzaga. Il diplomatico, invece di raccontare la vita e la politica nella Serenissima, lo informava sulle capacità amatorie delle donne in laguna.

LA STORIA
Di sicuro Carlo II di Gonzaga-Nevers non viene ricordato tra i grandi duchi di Mantova: ha regnato per poco meno di una trentina d'anni verso la metà del Seicento e gli affari di stato gli interessavano poco. Preferiva divertirsi, chissà, forse si annoiava, ma di sicuro aveva una propensione per il gentil sesso: tralascia la moglie, Isabella d'Asburgo, a favore di una bella nobildonna di Casale Monferrato. Quando il duca muore, all'improvviso, a soli 36 anni, più di qualcuno sospetta che ad ammazzarlo siano stati gli intrugli afrodisiaci che prendeva per mantenere alto il proprio vigore sessuale.
 
CORRISPONDENZA PICCANTE
Evidentemente l'amante non gli bastava, infatti dalla corrispondenza diplomatica conservata nell'Archivio di stato di Mantova emerge che l'ambasciatore del duca a Venezia, il conte Antonio Bosso, non si limitava all'attività che ci si aspetterebbe da un rappresentante diplomatico. Certo, nei dispacci si parla sempre con puntualità della guerra di Candia che in quegli anni ingurgitava, vite, forze e ricchezze della Serenissima (guerra devastante, lunga ben 24 anni), ma c'è dell'altro. Ci sono le veneziane. L'ambasciatore, infatti, faceva da ruffiano per il duca: gli procurava compagnia femminile, gliela faceva trovare quando veniva a Venezia per divertirsi, o gliela recapitava a domicilio, a Mantova. D'altra parte Venezia era ben conosciuta come meta di turismo sessuale: lo era nel Cinquecento, con le sue celeberrime cortigiane, lo sarà nel Settecento, quando pure alcune nobildonne non lesineranno le proprie grazie in cambio di sonanti zecchini: il detto «La Trona, la Benzona, e qualche altra buzarona» ricorda le allegre patrizie settecentesche.

LE GRAZIE VENEZIANE
Qui invece siamo nel 1655 e il conte Bosso scrive il 12 marzo al duca di Gonzaga augurandosi che possa venire a Venezia per la festa dell'Ascensione. Non sarà un viaggio sprecato perché «troverà robettina assai fresca» come promette il «prattichissimo conduttore nelli affari venerei», evidentemente un veneziano ben addentro agli affari di sesso. Poco più di un mese dopo, il 24 aprile, l'ambasciatore apre un dispaccio riferendo di «qualche curiosità». Le noiose notizie sulla guerra possono passare in secondo piano e quindi meglio riferire i divertenti pettegolezzi sulla musicista Barbara Strozzi, al tempo piuttosto celebre.

I PETTEGOLEZZI SERENISSIMI
La Strozzi dedica una composizione all'arciduchessa «di Spruc» (forse Innsbruck) e questa la ricompensa regalandole un gioiello, un pendente da petto con oro con rubini che, relazione il conte Bosso, la Strozzi pone «in mezzo al suo seno». E qui si lascia andare pur a valutazioni personali scrivendo: «o' che tette». Facciamo un salto di tre anni e andiamo al novembre 1658. Nell'archivio mantovano si conservano un paio di lettere piuttosto significative. Gli archivisti hanno riconosciuto la mano del conte Bosso, anche se sono firmate «Orazio solo contro Toscana tutta», frase dal significato abbastanza oscuro. Meno oscuro è il contenuto delle lettere. In quella del 16 novembre nomina una signora «tutto il giorno e la notte da potersi sollazzare e godere».

DIVERTIMENTI LUSSURIOSI
Poi passa ad altro e parla di una religiosa con la quale dev'essersi evidentemente intrattenuto il duca (ricordiamo che alcuni monasteri e conventi veneziani erano luoghi dove i peccati, più che essere espiati, venivano commessi). «Non ho mai inteso alcuna nuova della monaca della Celestia, ma se mi pervenirà qualche nottizia ne sarà ragguagliata, né io ardisco essere a quel monastero per il rispetto a lei ben noto». Sì perché in altre occasioni non si tira indietro se c'è qualcuna da consolare: «La sorella della signora Orsetta ieri capitò qui da me per sentire novella di vostra altezza che tuttavia arde, spasima, e crepa d'amore. Al miglior modo che potei andai consolandola e con destra maniera procurai di ridurla in un canto della casa, et ivi fezi una fierezza».

LA BELLA VEDOVINA
Dieci giorni dopo, il 26, è la volta della «bella vedovina» che «sarà veramente un bocconcino da principe e si potrà lavorare a occhi chiusi». Mica da sola, eh: «Stimo che converrà che la medesima vedovina conduca seco la sua fantolina». Pronta a partire per Mantova, la vedovina, ma in barca perché «le strade si sono fatte pessime», d'altra parte, si sa, novembre è piovoso. Verrà così, come sta e giace senza «robbe, né vesti» perché sarà cura di Gonzaga rivestirla di tutto punto. Dovrà pure provvedere a esprimerle la sua gratitudine: rimane pur sempre un duca.
Ultimo aggiornamento: 15:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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