Pochi fedeli, da riconvertire per il patriarca sono trenta chiese

Giovedì 6 Aprile 2017
La chiesa di San Fantin
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VENEZIA - Tre chiese su dieci a Venezia potranno essere destinate a funzioni diverse dal culto. Meno messe e più eventi, insomma. È la linea dettata dal patriarca Francesco Moraglia per far fronte alla crisi sociale e finanziaria che attanaglia Venezia insulare. Con meno abitanti, meno fedeli, meno sacerdoti e meno fondi per le manutenzioni, la Curia veneziana è costretta a una sorta di manovra da finanza “creativa” per far fronte all’immenso patrimonio delle propri templi.
«Sono una trentina le chiese in centro storico che possono essere coinvolte nel ragionamento molto chiaro proposto dal patriarca», conferma il braccio destro di monsignor Francesco Moraglia, don Dino Pistolato che parla di «un uso profano non indecoroso». «Potrà trattarsi di attività culturali o caritative – ribadisce il vicario episcopale e moderatore di Curia – Ad esempio una mostra o un’iniziativa d’arte piuttosto che un concerto per il primo versante, oppure un progetto in favore dei bisognosi», ad esempio una mensa sullo stile di quanto avviene a Roma, nella zona di Trastevere, con la Comunità di Sant’Egidio. E siccome anche i fondi statali si stanno sempre più riducendo, mentre le agevolazioni fiscali d’altro canto aiutano sempre meno, si tratta anche di trovare una formula che garantisca degli introiti per tutelare le chiese che, oltre a essere spazi di preghiera, sono veri e propri tesori dell’arte.
«Si potrebbe pensare a introdurre un biglietto d’ingresso – sottolinea Pistolato – Non certo un obolo che limiti, visto che il patriarca più volte ha fatto presente che i luoghi di culto devono restare accessibili a tutti coloro che vogliano entrarvi, ma il corrispettivo di una proposta culturale e caritativa e dei relativi servizi, in grado di compartecipare anche alle spese per la manutenzione».
«Verranno fatte le valutazioni necessarie e opportune – conclude il numero due della Curia – affinché come ha avuto modo di comunicare monsignor Moraglia si trovi il giusto equilibrio tra la destinazione tipica della chiesa e un contenuto che sappia rispettare e valorizzare il luogo il quale non sarà sconsacrato né alterato nella sua conformazione, mantenendo ad esempio gli altari in esso presenti».
Nel frattempo si muove la comunità musulmana, che, per bocca di Mohamed Amin Al Ahdab, presidente della comunità islamica veneziana (che conta oltre 50mila aderenti in provincia), torna a chiedere una moschea nel centro storico lagunare. «Avere piccoli centri di preghiera è inutile e dannoso - spiega Mohamed Amin Al Ahdab - Meglio una grande moschea a Venezia». «Sono un architetto, vivo a Venezia da 35 anni - aggiunge - è incredibile che il capoluogo non abbia un luogo in cui pregare. Penso anche ai turisti, a chi si trova di passaggio. Ci sono più di trenta centri di preghiera in tutta la provincia, questo significa avere anche nuclei di quattro o cinque persone. Come si fa ad avere il controllo di una realtà così frammentaria? É impossibile». L’apertura arriva da don Pistolato. «Siamo favorevoli - commenta il braccio destro del patriarca - Purché sia uno spazio adeguato ad accoglierla sotto tutti i punti di vista e ci sia una comunità di fedeli numericamente sufficiente a richiederla. Inoltre sarebbe opportuno che la predicazione avvenisse in italiano».
Nessuno spiraglio invece per l’eventuale ipotesi che una delle chiese veneziane non più usate possa ospitare una moschea: «Non può essere che un luogo nato per il culto di una confessione venga poi destinato a un’altra. Sarebbe contraddittorio e non gradito da entrambe le parti».
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 06:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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