Il boss della camorra sognava la pensione: «Voglio stare tranquillo»

Lunedì 25 Febbraio 2019 di Gianluca Amadori
Il boss della camorra sognava la pensione: «Voglio stare tranquillo»
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VENEZIA - «Adesso sai cosa faccio io? Ti spiego come penso nella mia mente: non sono una persona che vuole tanto e vuole tutto, no! Io ho creato una cosa, ho sistemato tante cose, mi sono messo a posto: adesso voglio soltanto star tranquillo... Perché prendere tanto e poi fare vent’anni di carcere e non te li puoi godere? È meglio vivere bene.... fuori. O no?» Suonano in qualche modo profetiche le parole pronunciate da Luciano Donadio nel marzo del 2016, mentre chiacchierava al telefono con quella che gli investigatori definiscono la sua “amica”. Evidentemente non sospettava proprio, in quel momento, che la Procura di Venezia fosse ad un passo dall’arrestarlo, con accuse per le quali rischia di restare in carcere proprio per vent’anni, come è accaduto per l’altro casalese condannato qualche anno fa per reati dello stesso tipo, Mario Crisci.

 
Nel 2016, mentre Donadio pronunciava quelle parole, coincidenza vuole che il pm Roberto Terzo stesse depositando la richiesta di arresto per lui e altre 59 persone, ritenute in gran parte aderenti ad un’associazione di stampo mafioso, radicatasi tra Eraclea, Jesolo, San Donà di Piave.
Il magistrato aveva iniziato a scrivere la sua richiesta conclusiva nel 2014 e ha impiegato un anno e mezzo a riordinare le carte di un’inchiesta proseguita per anni, con pazienza, grazie alla quale è stata ricostruita nei dettagli l’attività del presunto boss Donadio fin dal suo arrivo ad Eraclea, alla fine degli anni Novanta quando, secondo gli inquirenti, iniziò ad investire nel settore delle costruzioni il denaro del clan Schiavone di Casal di Principe, con l’obiettivo di ripulirlo in attività in apparenza lecite.
Chiacchierando al telefono con la sua amica Donadio ha delineato con estrema chiarezza il potere acquisito nel tempo dal suo clan, tanto da potersi permettere di restare in ufficio a dirigere, senza più sporcarsi le mani: «Un dieci anni fa son passati tutti da me. Guerre, guerre continue fino a comandare solo noi... Oramai comandiamo cosa vuoi che... Si mettono paura adesso! Tu cosa pensi che vado io? Io non vado più adesso a far le cose. Scusa eh, io chiamo i miei ragazzi. Subito, subito posso chiamare tre/quattro persone... Ce li ho cinque/sei subito pronti...».
Dopo la richiesta del pm, prima che gli arresti diventassero realtà, sono trascorsi quasi tre anni, nel corso dei quali il giudice per le indagini preliminari Marta Paccagnella ha dovuto studiare una montagna di documenti per analizzare le accuse formulate dalla Procura e valutare la sussistenza di gravi indizi e dei requisiti di attualità necessari per l’emissione di una misura cautelare. Tanto tempo, ma in quei tre anni l’ufficio gip è rimasto per 12 mesi senza due giudici (un quarto dlel’organico) e senza presidente, con il ruolo di facente funzioni ricoperto proprio dalla dottoressa Paccagnella.
«Più di quattro anni per chiudere un’inchiesta sono tanti - ammettono in Procura - ma con le risorse a disposizione è quello che si riesce a fare. Venezia ha organici sottodimensionati rispetto al resto d’Italia e con gli uomini e i mezzi a disposizione non si riesce a fare di più. Se ci si occupa dei reati di strada, della microcriminalità, come chiede l’opinione pubblica, non è possibile fare inchieste più complesse, come quella sui casalesi, o su fenomeni corruttivi, o su grandi evasioni fiscali. Ogni pm a Venezia ha mille fascicoli di cui occuparsi e i gip sono in un numero insufficiente per far fronte alla gran mole di lavoro: è un risultato straordinario essere riusciti a chiudere un’inchiesta complessa con i pochi mezzi a disposizione».
Concluso il blitz di martedì scorso, il pm Roberto Terzo ha voluto ringraziare i suoi collaboratori di segreteria, Pierluigi Vian ed Elvis Foglia, nonché due investigatori senza i quali l’inchiesta non sarebbe stata possibile: il colonnello del Gico di Trieste Giovanni Palma (ora a Savona) e il luogotenente Aldo De Pierro, andato in pensione pochi mesi prima del blitz.

Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 11:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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