La denuncia: «Chi cade nello scolmatore è morto, risalire è impossibile»

Domenica 21 Ottobre 2018 di Marina Andolfatto
Il canale dove è annegato il bambino
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MESTRE «Bisogna darsi da fare, tombare lo scolmatore e spostare la linea dell'alta tensione che tagliano in due il territorio». Sembrano parole pronunciate oggi, invece risalgono al 1994. Quasi un quarto di secolo fa. Lo disse al Gazzettino don Franco De Pieri, indimenticato e indimenticabile sacerdote che vide crescere dagli anni Ottanta il Rione Pertini che, per tutti, era ancora il Peep della Bissuola. Le tragedie servono almeno ad aprire gli occhi, a mettere insieme cose, pensieri, parole. E promesse non mantenute. È dal 1987 (e qui gli anni trascorsi sono addirittura 31) che i vari amministratori che si sono succeduti promettono che avrebbero fatto chiudere quel canale scolmatore dove in quell'anno morirono le prime due persone: Marina Rioda, annegata a 54 anni dopo essere scivolata portando a spasso il cane, e l'ex calciatore del Venezia Franco Dori. E l'estrema pericolosità dello scolmatore venne accertata anche dal Tribunale di Venezia con una sentenza del 2000 che condannò il Consorzio di bonifica Dese Sile
 
(all'epoca responsabile del canale) a risarcire il marito e i due figli della donna per quasi un miliardo di lire, con la parallela assoluzione del Comune di Venezia, ritenendo che nessun obbligo fosse a suo carico per quanto riguarda la sorveglianza del canale. Marina Rioda era uscita di casa per portare a passeggio il cane pastore tedesco del marito: cadde e annegò nel canale scolmatore non riuscendo a risalire a causa delle pareti lisce in cemento che non le lasciarono alcuna via di scampo.
LA SENTENZA
Il Tribunale sancì che il Consorzio di bonifica ha l'obbligo di vigilare sui canali scolmatori e di garantirne la sicurezza, nel caso specifico avrebbe dovuto provvedere a coprire il collettore o a dotarlo di parapetti o, almeno, doveva predisporre scalette in metallo a distanza ravvicinata, come del resto era stato raccomandato dal Comune.
Da quella sentenza sono passati quasi vent'anni, ma queste indicazioni - tranne forse l'installazione di qualche scaletta - sono state bellamente ignorate. «La tendenza in questi casi - spiega Giovanni Caprioglio, architetto e presidente dell'Istituzione Bosco e Grandi parchi di Mestre - è di procedere con la naturalizzazione, togliendo l'orrore e i pericoli di quegli argini in cemento che fanno di questi canali degli elementi insicuri. Chiunque finisce in quella fossa, purtroppo, è morto. Risalire è impossibile». L'Istituzione cura il Bosco dell'Osellino, il polmone verde tra viale Vespucci e il Rione Pertini, e fra il Marzenego e lo scolmatore. Facciamo un altro passo indietro al 1994: nell'ottobre di quell'anno vennero piantati i primi alberi del Bosco nel corso di una festa con 500 bambini. C'erano don De Pieri e il prosindaco Gaetano Zorzetto, e tante persone che, durante la manifestazione, guardava preoccupata il canale scolmatore chiedendo, ancora una volta, di installare almeno una rete di recinzione. Mai arrivata.
LO STUDENTE E IL BIMBO
Passano gli anni inutilmente. E le tragedie si ripetono. Nell'aprile del 2014 Omar Stefani, ventenne studente dell'Istituto Volta, sbanda in curva con la sua moto all'altezza di via Bissagola e finisce nello scolmatore nel tratto che risale verso Mestre. Se non fosse annegato per l'impossibilità di risalire, forse si sarebbe potuto salvare, e ne sa qualcosa don Natalino Bonazza che celebrò i funerali del giovane, trovandosi oggi a rivivere questo stesso dramma con la morte del bimbo di 5 anni scivolato nel canale maledetto. «Quanti morti dobbiamo aspettare prima che qualcuno lo metta in sicurezza?» ha chiesto ieri don Natalino. Già, quanti?
Fulvio Fenzo
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Ultimo aggiornamento: 14:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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