I baicoli del Sior Carlo Lavena, patron del "Caffè dei foresti"

Martedì 6 Novembre 2018 di Paolo Navarro Dina
I baicoli del Sior Carlo Lavena, patron del "Caffè dei foresti"
All'inizio della sua storia, in omaggio agli Asburgo, dominatori del Lombardo-Veneto, la bottega del caffè si chiamava "Alla Regina d'Ongheria" come testimonia l'Archivio di Stato di Venezia. Poi venne battezzata come L'Orso coronato con un animale rampante che ostentava con orgoglio la sua testa nobiliare. Infine, ancor prima del Regno d'Italia, sotto gli austriaci e con i piemontesi che solo nel 1866 avrebbero messo piede a Venezia, l'ultima trasformazione arrivò con un giovane torinese, Carlo Lavena, uomo di modesti natali, con la vocazione a diventare mastro confettiere che, mentre i garibaldini consegnavano la Penisola a Vittorio Emanuele III in quel di Teano, dava sostanza al suo sogno, rilevando un negozietto in Frezzeria, a due passi da San Marco, e successivamente aprendo una succursale in Piazza.

Ora un libro intitolato "Lavena, il caffè dei foresti, il tempio dei musicisti e dei letterati" (L'artegrafica), scritto da Danilo Reato, storico del costume veneziano, ripercorre le vicende di uno dei prestigiosi Caffè nel salotto d'Europa (oggi alle 17.30 la presentazione nel locale). «Il Sior Carlo - scrive Gino Bertolini, un cronista dell'epoca - passando di sfogliata in sfogliata, di pasta frolla in pasta frolla, s'è fatto i milioni (...) ma conserva ancora il contatto con il lavoro (...) Non accade poi tanto di rado di vederlo prendere in mano lui stesso la pala di faggio per insegnar a rimestar bene nel forno più grande, quella pala che assomiglia a un'alabarda».
E così, a poco a poco, il Caffè del sior Carlo diventa un punto di riferimento. Avverte sempre Bartolini: «Quando l'interrogate - dice il cronista parlando di Lavena - non omette di ricordarvi che Venezia non ha soltanto la specialità gastronomica dei baicoli, ma anche quella del fagotini, codesta eccellente misconosciuta ghiottoneria a due corna con un bel ripieno di mandorle impastate, in tutto giallognola». Che siano i kipferl di austro-ungarica memoria? Chissà.
IMPRENDITORE DI SUCCESSO
Una scalata che trasforma Lavena in un vero e proprio impresario del suo tempo, pronto a viaggiare, a trovare nuove leccornie da modificare secondo il gusto veneziano, e che lo mette in relazione con i mastri confettieri della vecchia Europa, da Parigi a Berlino, senza avere nulla da invidiare alla tradizione delle Kaffeehaus viennesi. E proprio sulla falsariga dei locali mitteleuropei, Lavena trasforma il vecchio locale. Scrive Danilo Reato: «Grazie alla creatività del nuovo imprenditore il vecchio negozio settecentesco viene trasformato con i tavolini in marmo verde e le sedie di legno ricoperte di tessuti pregiati, mantenendo alle pareti i pregiatissimi specchi. E infine arrivano pure i maestosi lampadari in vetro di Murano della ditta Barovier & Toso».
Nel giro di pochi anni, il Caffè Lavena passa da semplice confetteria a luogo di ritrovo per gli artisti e per gli intellettuali dell'epoca. Ma c'è anche un altro formidabile alleato che favorisce il successo: il sole. Già, i raggi di calore (a differenza degli altri Caffè della Piazza) penetrano nel locale e come tale è il preferito da tanti.
I LETTERATI
Sono gli anni di fine Ottocento, che vedono il maggiore numero di ospiti illustri del Lavena: il primo di essi è senz'altro il compositore Richard Wagner che sceglie Venezia, e il Lavena come rifugio. Lo sarà dal 1879 al 1883, anno della sua morte. Così la moglie Cosima Wagner nei suoi taccuini racconta il rapporto del musicista con il Caffè.
«Nel pomeriggio andiamo in Piazza San Marco e alle Mercerie ch'egli chiama Pechino (...) Poi ci fermiamo da Lavena con il quale parliamo volentieri». Ma Wagner fu solo il primo degli ospiti illustri: dopo di lui anche Arthur Rubinstein, Rostropovich, Mario Del Monaco, Rajna Kabaivanska, e tanti scrittori da Guido Piovene a Giorgio Saviane, da Alberto Moravia a Goffredo Parise, e uomini di teatro come Cesare Musatti e Nicola Mangini.
E infine è storia del Novecento con gli appuntamenti galanti del Vate, Gabriele d'Annunzio con Eleonora Duse o la stravagante marchesa Luisa Casati che amava passeggiare con il suo leopardo al guinzaglio per San Marco. Carlo Lavena morirà nel 1931, ma la sua eredità non è mai stata messa in discussione. Ancor oggi, il Caffè Lavena è in mano ai discendenti del fondatore, la famiglia Rey che ne ha tramandato tradizioni e ospitalità nel rispetto delle parole di un grande saggio, il letterato Gasparo Gozzi che nel 1761 scriveva sull'«Osservatore Veneto»: «La vera scuola dov'essa al presente fiorisce, io ritrovo veramente essere le botteghe de' caffè, le quali si aprono a tutti coloro che, fuggendo le molestie della casa e i pensieri delle faccende, trovano quivi di che ristorarsi». Già, da allora ad oggi, nulla è cambiato.
 
Ultimo aggiornamento: 19:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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