Alvaro Recoba, ovvero la Serenissima del calcio: «Ci sentivamo imbattibili»

Lunedì 4 Marzo 2019 di Davide Tamiello
Alvaro Recoba, ovvero la Serenissima del calcio: «Ci sentivamo imbattibili»
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Quella maglia numero 11, a Venezia, non passerà mai di moda. I ragazzini, che non erano nemmeno nati nel suo 99, la indossano ancora come una reliquia, come una bandiera di un'era gloriosa passata. Alvaro Recoba, ovvero la Serenissima del calcio: in città ricorda gli antichi fasti di un'epoca, quella di una stagione straordinaria, in cui una piccola provinciale veneta faceva battere il cuore a tutta l'Italia del pallone. Al Chino venuto da Milano quei sei mesi sono stati più che sufficienti per entrare nel mito. Il paragone sembrerà azzardato, ma per i tifosi arancioneroverdi il pupillo di Moratti fu veramente un Pibe de oro della laguna. Mancino come Maradona e capace di regalare un girone di ritorno da record, caricandosi sulle spalle una squadra che prima del suo arrivo aveva raccolto solo briciole. Da allora sono passati vent'anni, Recoba è tornato a casa, in Uruguay, dove tre anni fa ha disputato l'ultima fase della sua carriera, prima del ritiro, nel Nacional Montevideo. Quei momenti di gloria veneziana, però, restano indelebili: Alvaro li snocciola uno a uno, in un lungo amarcord che lo riporta ai tempi in cui, caschetto nero e dentoni, il suo micidiale sinistro faceva tremare le big di serie A. 
 
«Me lo ricordo bene. Il Venezia aveva appena perso pesantemente con l'Inter a San Siro (2-6, ndr). Mi arriva la notizia che la società aveva chiesto di potermi avere in prestito. Io a Milano ero chiuso da tanti campioni in quel periodo, fu Moratti a dirmi: È una società seria, a me sta bene. Se vuoi giocare di più vai. A quel punto ho preso mia moglie e siamo partiti subito»
La missione non era facile però. Una squadra che non vinceva e non segnava. 
«Non eravamo messi bene, questo è innegabile. C'è stata una partita infrasettimanale, abbiamo pareggiato con la Juve. Poi subito dopo, prima del Carnevale, il recupero con l'Empoli. Finito il primo tempo perdevamo già due a zero. In quel momento, la prima cosa che ho pensato è stata: Che c... ci sono venuto a fare qua. Nel secondo tempo invece è venuta fuori la squadra. Pedone, Iachini, Pippo (Maniero). Rimonta e 3 a 2, è stato incredibile. Da lì è partita una stagione memorabile». 
E così, da San Siro al Penzo. Da Ronaldo a Maniero. Un bel salto, però. 
«Ero giovanissimo sai. Uno si abitua a una realtà come l'Inter, dopo un anno e mezzo. Hai possibilità enormi lì. Poi arrivi in una squadra di provincia, e trovi questo gruppo di ragazzi. Beh, c'era molta più umanità. C'era un gruppo di vetereani, Taibi, Luppi, Iachini. Giocatori veri, bravi soprattutto con i giovani. Era un gruppo stupendo, ogni venerdì uscivamo insieme a giocare a bowling con le famiglie».
C'è qualcuno con cui sei rimasto più in contatto? 
«Pedone. Ci sentiamo sempre per gli auguri per i compleanni e per le feste». 
Alvaro, 14 marzo 1999. Venezia Fiorentina, 4-1. La tua tripletta è rimasta nella storia. Come te la ricordi quella partita?
«Sai cosa mi dispiace? Che allora non c'era questa tradizione di portarti a casa il pallone dopo la tripletta. Me lo sarei preso volentieri, era meritato no? (ride). Scherzi a parte è stato bellissimo. In quel momento ci sentivamo invincibili. Chiunque venisse a Venezia, crollava: Roma, Inter, Fiorentina. Qualunque avversario doveva arrendersi di fronte a noi». 
Qual era il segreto di quel Venezia?
«C'era qualcosa di magico, il Penzo era sempre strapieno. E poi ci divertivamo. Quella sensazione di essere imbattibili era adrenalina pura. E poi la chimica tra noi era pazzesca. Ti faccio un esempio: durante una partita succede che il mister mi sostituisce. Io mi arrabbio e lo mando a fare in c... poteva rovinare tutto, no? Invece Walter (Novellino, ndr) mi abraccia, si fa una risata e tutto si chiude lì. Il mister è fatto così». 
Due caratteri veraci. Eppure il vostro è stato un matrimonio sportivo vero. 
«Mi trovavo bene con lui. Al Torino sono andato solo perché mi voleva lui. La sfortuna ha voluto che dopo due partite l'abbiano mandato via». 
Quanto c'era di Novellino nel Venezia dei miracoli?
«Partiva tutto da lui. Era la fonte da cui traevamo le nostre energie. Dava una carica impressionante, pensa che Beppe (Iachini) giocava anche da strappato. Aveva creato una squadra, un gruppo compatto. Lui ci diceva di andare a mille all'ora, e noi lo facevamo».
Senti ma adesso, a 20 anni di distanza, puoi dircelo. Non ti sei mai pentito di essere tornato a Milano così presto? Non ti sarebbe piaciuto fare un'altra stagione in arancioneroverde?
«Io non mi pento mai di nulla. Però stavo benissimo a Venezia, sarei stato felice di rimanere. Mi ricordo benissimo che Zamparini lo chiese a Moratti ma lui fu irremovibile. No no lo avete tenuto sei mesi, adesso il Chino torna da noi. Anche volendo, Moratti non mi avrebbe mai permesso di restare. Io però lo dico sempre, quei sei mesi che ho vissuto a Venezia sono stati di felicità assoluta». 
Tu però abitavi a Mestre, giusto?
«Sì sì. E mi piaceva un sacco andare all'allenamento in traghetto. Si dice così? No no scusa, vaporetto!»
La città è ancora innamorata di te, questo lo sai. 
«Mia figlia c'è stata un mese fa in gita con la scuola. Qualcuno in un locale ha chiesto ai ragazzi: Da dove venite? Dall'Uruguay. La risposta sai qual è stata? «Grandi, come il Chino Recoba! Allora mia figlia mi ha chiesto un videomessaggio per loro, è stato divertente. Venezia rimarrà sempre nel mio cuore, in salotto ho ancora un oggetto in vetro di Murano che mi regalarono allora». 
Com'è cambiato il calcio in questi 20 anni?
«In Italia il livello si è abbassato, ci sono due o tre squadre, quelle che possono comprare i campioni, spesso a prezzi folli. Le cifre di oggi sono cose da pazzi. Ma la qualità di quei tempi, ragazzi. Tu andavi a giocare a Firenze e ti trovavi contro Batistuta, andavi a Perugia e c'era Vierchowod, andavi a Bergamo e c'era Doni. Ogni partita era una lotta durissima, con campioni veri. E soprattutto l'Empoli giocava da Empoli, l'Atalanta giocava da Atalanta. Oggi tutte le squadre vogliono fare il Barcellona, uscire palla al piede. Questo mi fa un po' ridere».
Ma c'è un nuovo Chino Recoba in giro?
«Non vedo nessuno come me. Mi piace vedere il bello nel calcio: Griezmann, Messi, Gaston Pereiro, Papu Gomez. Però non voglio dire che ci assomigliamo, eh».
Cosa farai da grande?
«Non lo so. Mi piace il calcio, voglio restare nel calcio. Ma non so in che veste, se come allenatore, dirigente, procuratore. Ho smesso di giocare a 38 anni, adesso devo capire in che veste tornarci».
A proposito di tornare: Venezia ti aspetta, lo sai.
«Verrò, assolutamente. Purtroppo non posso più giocare, ma almeno da turista ci tornerò presto, lo prometto».
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