Quel mulino nascosto nel verde: macina dal '400, si paga in fiducia

Giovedì 19 Ottobre 2017 di Paola Treppo
Il vecchio mulino ad acqua a Imponzo di Tolmezzo
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TOLMEZZO (Udine) - Quel mulino nascosto nel verde, ai piedi della montagna, racconta la storia di secoli di agricoltura e di relazioni sociali. È testimone del cambio, spesso radicale, di stili di vita, stili alimentari, degli usi e dei costumi delle genti del Tolmezzino e della Carnia intera.

«Credo che sarò l’ultimo a usarlo - dice con un po’ di amarezza Loris Morassi, 68 anni -; mio figlio, che è emigrato in Australia, non vuole portare avanti la tradizione di famiglia e qui, ormai, non c’è più nessuno che abbia la passione di fare il mugnaio». Loris non è un mugnaio, ha fatto l’allevatore ma continua comunque a macinare il granoturco per piccolissimi produttori o per amici che gli chiedono il favore un po’ da tutta la regione.

Si paga come una volta, in fiducia 
Il sistema è di quelli di una volta: si va “in fiducia”. «Qualcuno mi fa uno squillo al telefono, qualcuno lascia il sacchetto di mais direttamente nella casetta del mulino con il suo nome e il suo numero - spiega Loris -; io arrivo, vedo quello che è stato portato e, in due o tre giorni, provvedo a macinare. Per dieci chili ci impegno un’ora e mezza. Poi lascio il sacco al suo posto e il proprietario passa a prenderlo, lasciando l’offerta che vuole. Arrivano anche da Trieste».
 

 


La porta è sempre aperta
Il mulino, che sorge a Imponzo di Tolmezzo, ha la porta sempre aperta. Tutti possono entrare anche solo a fare una visita perché, oltre a macinare granoturco da secoli, oggi di fatto è anche un piccolo museo. Quando si esce basta girare la chiave nella toppa e lasciare tutto in ordine. Nessuno si azzarda a sporcare e non è mai stato rubato nulla. Perché tutti, in valle, hanno un grande rispetto di questo luogo. Ha secoli di vita e ha servito migliaia di famiglie, sfamandole. Funziona con la sola forza dell’acqua, quella del rio Mignezza che gli scorre a fianco e che muove una pieta antica, quella originale, sempre rimasta al suo posto, da quando esiste il mulino. 

Macina dal 1400
«Il primo documento che attesta la sua esistenza porta la data del 1790 - racconta Loris -; si legge che la Repubblica di Venezia concedeva lo sfruttamento dell’acqua per la macina. Ma i vecchi del paese, che hanno raccolto la memoria orale dei loro avi, dicono che questo mulino esisteva già nel 1400». Ai tempi della Serenissima si macinava granaglia diversa: grano saraceno, orzo, avena, frumento. Con la stessa pietra che oggi macina solo granturco. «Ogni due anni gli facciamo manutenzione: la “ravviviamo” con delle picche, che resti sempre in funzione, vista la sua bella età».

All'inizio era del prete 
Da sempre di proprietà privata, il piccolo mulino, che si raggiunge percorrendo una stradina in salita al limitare di Imponzo, era “nelle mani” di un prete, quello che aveva più disponibilità di soldi in paese. «Il primo nome cui legato è quello di tal Francesco Candoni - dice Loris -; in sostanza è sempre appartenuto alla mia famiglia, da parte materna, senza mai essere ceduto ad alcuno. Io l’ho ereditato da mio padre Fabiano, che macinava pure lui per sola passione. Mentre la madre di mia mamma Caterina, quindi nonna Matilda Morassi, lavorava al mulino per professione, come pure, prima ancora, sua nonna».

​La casetta sorta tutta attorno alla macina è di pietra, con la porta in legno, i vasi di fiori a far allegria. Dentro due stanze, compresa quella del minuscolo ufficio.
Ci entriamo in punta di piedi per scorgere subito dopo i sacchi di tela riposti su una sedia, sulla panchina; quelli consegnati e quelli da ritirare. Qui non ci sono allarmi, sola la vicina, che abita due case più in là: «Andate, andate a vedere. Loris è fuori, adesso, che lavora sulla statale - dice senza perder tempo mentre cura il suo orto -; è tutto aperto, basta girare la chiave».

Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 15:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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