«Prego davanti al bagno dove quella ragazza è morta a 16 anni»

Venerdì 19 Ottobre 2018 di Camilla De Mori
«Prego davanti al bagno dove quella ragazza è morta a 16 anni»
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UDINE - «In quel bagno della stazione, da quando è morta la bambina, non entro più, neanche per centomila euro. Mi dispiace, poteva essere mia figlia». Nel mondo nascosto in piena luce che si spalanca agli occhi di chi entra in stazione assieme ai volontari del Safe point e dell’unità di strada della Croce rossa di Udine, c’è anche Mohammed, che, dopo la morte della 16enne di Palmanova, per sospetta overdose, dice che davanti a quel bagno «faccio la preghiera musulmana ogni volta che riesco». E si inginocchia. E prega. E chissà se è vero, come dice, che «certe volte le porto i fiori del prato», o se lo fa solo quando la birra gli lascia le gambe meno traballanti. Ma non importa. «Io avevo un figlio di 13 anni che è morto in un incidente - racconta -. Quasi la stessa età. Quelli che spacciano sono dei bastardi. Non l’avevo mai vista. Ero a Treviso quando è successo. L’ho letto sui giornali. In stazione tanti hanno pianto». 
 
LA SERATA
Sono le 21.50. Pioviggina. Vicino alla fermata del bus, ti raggiunge una zaffata di “erba” da un ragazzino tutto ricci. Sul primo binario sta per arrivare, in ritardo, il treno per Roma delle 21.58. E arrivano, puntualissimi, anche i quattro volontari dell’unità di strada della Cri di Udine, Walter Cattarossi, Carla Bortolotti, Rosella Riga e Mattia Messina, raggiunti presto dagli operatori del “Safe point”, il presidio salvagente appena inaugurato in stazione: nel gruppo, anche il Migration advisor per il Nord Italia del comitato nazionale di Croce rossa, Fabrizio Anzolini, e il vicepresidente del comitato udinese Andrea Spinato. Assieme a loro, quando si impara a guardare in modo meno distratto quelli che cercano di scomparire nella notte, si apre quello che Walter, responsabile dell’unità di strada, chiama «il mondo nascosto». In un angolo, con una borsa Despar a fargli da cuscino e tutta la sua vita nei sacchetti di plastica, dorme «il capitano», come lo ha ribattezzato Walter. Spesso, spiega, le donne senza un tetto dormono pure nei bagni, accoccolate vicino alla tazza. «È una zona di rifugio. Gli uomini, invece, al wc, vanno solo a lavarsi». E poi, sul piazzale, compare Mohammed, 41 anni, che ha ancora una famiglia a Treviso. «Hai le scarpe nuove», gli dicono i volontari. Gli danno la coperta che chiede. E lui sorride, portandosela dietro avvolta nel nylon come una coperta di Linus. Conosce tutti e si muove con dimestichezza in ogni anfratto del “suo” territorio. È un po’ il “re” della stazione, gli diciamo scherzando. Sorride ancora. Accanto a lui, una giovane donna, con un trolley e una rivista, Ilfathi Laziza, che si presenta come sua cugina. Sta aspettando il bus per tornare a casa. «Prima Mohammed viveva a Treviso. Poi ha perso il lavoro. Gli ho detto: vieni a casa mia. Ma non vuole. Preferisce stare in strada». Andrea si avvicina al «capitano». «Vuole una coperta? un bicchiere d’acqua?», gli chiede, rispettoso. L’ictus lo ha colpito un anno fa, ha il labbro mezzo storto e la mano bloccata. Rifiuta ogni tipo di assistenza. Dice di venire dalla Romania. E chiede «una valigia», un sacco per raccogliere i vestiti sparsi fra le buste di plastica che lo circondano.
IL SOCCORSO
Sono le 22.57. Un rumore sordo davanti al McDonald’s dall’altra parte della strada. Gli operatori della Croce rossa vedono un giovane cadere e si precipitano. Davanti alla vetrina, riverso al suolo, un ragazzo di forse una trentina d’anni, rantola e si lamenta. Ha le pupille piccole come spilli e uno zaino sulle spalle. I volontari cercano di aiutarlo. Ma parla solo francese. «È di Marsiglia. Ieri sera mi ha raccontato che doveva tornare a casa in treno. Aveva fame, gli ho dato un pezzo del mio panino» rivela Dilane Borca Blavo, studente diciottenne originario della Costa d’Avorio, che non ci pensa un attimo a chinarsi per tradurre quel che sibila fra un rantolo e l’altro il giovane, e cercare di dare una mano. Dilane al mattino lavora come cuoco a Monfalcone e la sera frequenta lo Stringher. È all’ultimo anno. «La stazione non mi fa paura», dice. Gli operatori della Cri chiamano l’ambulanza, che arriva in un soffio. Alle 23.06 il francese è a bordo. Se la caverà. Sul posto anche i poliziotti di una delle due pattuglie della Volante che presidiano la zona.
I PAKISTANI
Davanti alla stazione, tre ragazzi pakistani dall’aria smarrita.

Chiedono (e ottengono) dal Safe point qualcosa per coprirsi, per mangiare e per bere. Junaid, 22 anni, e Zahid Hussein, 34, sono usciti dall’accoglienza per andare a lavorare nei campi a Carpi, in Emilia, «come agricoltori». Ma in Friuli sono dovuti tornare perché l’indomani, a Trieste - racconta Junaid in un discreto inglese - hanno l’esame della commissione per i richiedenti asilo. Ahmed, invece, traduce Junaid, ha già la cosiddetta “sussidiaria” di due anni: ha ottenuto i documenti ed ora è in strada. Tutti passeranno la notte «dove capita». Sono le 23.58. Tornano dal loro giro i volontari dell’unità di strada. C’è il tempo per andare dall’«inquilino» del binario 5, che dorme sempre lì, su una panchina. Poi, un ultimo giro ai margini di Udine.

Ultimo aggiornamento: 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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