Quel vino dimenticato. Il Tazzelenghe salvato da un fattore del conte

Lunedì 17 Settembre 2018
Quel vino dimenticato. Il Tazzelenghe salvato da un fattore del conte
UDINE- Taglia la lingua, si apprezza o si detesta. Proviene da un vitigno raro che ha rischiato l'estinzione, salvato per amore del suo nettare: è il Tazzelenghe. La sua storia profuma di antico tra le colline di Buttrio e Manzano nel cuore dei Colli Orientali del Friuli. Apprezzato nel secolo scorso, è caduto nell'oblio, un incompreso per il palato dei più, non a caso in dialetto friulano si chiama tàce-lenghe ossia taglia-lingua per la sua elevata tannicità. Nel 900 non era raro vedere tra i filari grappoli rossi con i particolari acini dalla forma leggermente schiacciata, con la buccia tannica dal colore blu-nero quasi viola. Volendone assaggiare le uve, arriva in bocca un sapore acidulo, ma sono  uve destinate a invecchiare per dare origine a un vino di alta qualità e pregio che riposa in botti di rovere, un vino difficile, ma dal carattere forte che taglia la lingua.
IL SALVATAGGIOMolti pensano che a salvare il Tazzelenghe da morte certa sia stato un regolamento risalente al 1978 di quella che allora si chiamava Comunità economica europea che lo inserì tra i vitigni autorizzati nella provincia di Udine. È un vino raro, coltivato su una superficie di meno di 10 ettari con una produzione di 300 ettolitri all'anno; un vino griffato, verrebbe da dire.
Ma la sua storia è ben più affascinante e accompagna la storia del Friuli almeno dall'Ottocento, anche se molti sono certi di poter affermare che la sua esistenza risalga a tempi ben più antichi. Il Tazzelenghe sarebbe stato il degno protagonista enologico del romanzo di Florence Montgomery, il suo salvataggio richiama le risate e le fatiche delle vendemmie degli anni '70 e Lino Bertoni, depositario di questa storia, ne ricorda tutti i dettagli, lui che ha vissuto tra i vigneti di Buttrio dove la sua famiglia lavorava pazientemente i filari ereditati dagli avi.
IL FATTORE DEL CONTE«Mio padre racconta Lino era amico del fattore del conte Francesco Florio, Rico Baldini e un giorno mi disse che Rico stava facendo rivivere il Tazzelenghe. Partecipai alla prima vendemmia e assaggiai quel vino che taglia veramente la lingua».
Rico Baldini viveva a Buttrio in una famiglia di falegnami e diventò il fattore del conte, quel conte che nel 1935 promosse la prima edizione della Fiera regionale del vino da estimatore del nettare di bacco e produttore. Il conte Florio possedeva molte vigne, ma fu il suo fattore a intestardirsi nel voler recuperare il Tazzelenghe, che ormai nessuno produceva più.
«Ho bevuto uno dei primi Tazzelenghe rinati dice Lino, assaporandone ancora il gusto tanti anni dopo ; è un vino talmente particolare che a un certo punto è caduto nell'oblio, perché ai tempi non si riusciva né a esportare né a vendere, insomma non andava, come si direbbe oggi».
Ma se la storia di un territorio è fatta anche dei suoi prodotti, l'antico Tazzelenghe non si poteva chiudere in un cassetto e dimenticare come un vestito vecchio abbandonato in un baule polveroso che forse nessuno riaprirà. «Le prime produzioni racconta ancora Lino contavano solo pochi ettolitri e venivano distribuite tra gli amici, era il vero Tazzelenghe, un vino aggressivo, avevo 20 anni quando feci il primo assaggio», quello che piaceva fare al conte con i suoi amici.
Accadeva oltre 40 anni fa, quando il vino taglia lingua rivide la luce nei giorni assolati della prima vendemmia, quasi una festa che faceva dimenticare la fatica. La moglie di Rico Baldini preparava il pranzo per gli uomini impegnati nei filari a raccogliere i grappoli ormai maturi, «si mangiava sotto il carro nelle vigne, tra un pausa e l'altra della vendemmia». Allora non esistevano macchine a raccogliere i grappoli, ma giovani uomini in calzoncini corti le cui risate allegre il vento le portava da una collina all'altra, fieri di tenere tra le mani uno dei prodotti più eccellenti della terra friulana. Così tra le colline di Buttrio baciate da un caldo sole settembrino i carri andavano riempiendosi della pregiata uva, mischiata alla testardaggine di un fattore che non ha mai voluto abbandonare l'incompreso Tazzelenghe e, per tanti che lo hanno detestato, altri lo hanno amato e rispettato come un signore tra i vini friulani.
IL NUOVO RISCHIO OBLIODa una famiglia di falegnami è nato il salvatore di un vitigno antico che ancora oggi suscita emozioni contrastanti, rischiando di cadere ancora una volta nell'oblio. «Dopo il recupero, in effetti il Tazzelenghe è stato nuovamente dimenticato per tornare in auge una quindicina di anni fa conclude il suo racconto Lino Bertoni ; ancora oggi rimane un vino per pochi, intenso e dal colore rosso rubino». Un vino che ricorda per alcuni tratti il carattere del popolo friulano, deciso, a volte spigoloso, fiero e robusto.
Lisa Zancaner
Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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