L'addio a De Infanti il principe dei monti

Venerdì 17 Agosto 2018 di Tiziano Gualtieri
L'addio a De Infanti il principe dei monti
RAVASCLETTO - Era considerato il principe dei monti, una figura poliedrica dai mille interessi e dalle mille capacità.
Albergatore ma anche alpinista; sciatore ma anche scrittore, anima verace, promotrice di lotte sociali in favore della sua terra. Sergio De Infanti, figura simbolo non solo di Ravascletto dove era nato nel 1944 e dove aveva speso tutte le sue forze, ma dell'intera Carnia, ha smesso di combattere a 74 anni. Da un po' di tempo era ricoverato all'ospedale di Tolmezzo a causa di un ictus che lo aveva colpito al rientro da un viaggio all'estero e che nello spazio di un mese è stato in grado di spegnerlo.

Lui che di battaglie ne aveva combattute tante, tutte con un unico obiettivo: ribadire che la sua terra, quella Carnia spesso bistrattata, aveva tutte le carte in regola per diventare un importante centro dal punto di vista turistico.
De Infanti - storico proprietario della Pace Alpina a Ravascletto, albergo a conduzione familiare fondato dal padre e dove ogni stanza è dedicata a una montagna carnica - è stato fin dagli inizi uno dei promotori dello sviluppo dello Zoncolan, una missione iniziata nel 1963 quando diventò il primo maestro di sci carnico e che sette anni dopo lo vide diventare uno tra i promotori della nascita della Scuola di Sci Ravascletto.

Una scomparsa che ha destato molta commozione un po' in tutto il Friuli perché De Infanti non era conosciuto solo per le idee legate allo sviluppo del suo territorio, ma anche per la sua anima variegata: con l'inseparabile sigaro tra le labbra e la penna stretta tra le dita, ad esempio, diede vita a diversi importanti romanzi (tra cui Il troi par Ravasclet e Da Ravascletto a Ravascletto), a una intensa autobiografia (Io per primo non lo avrei mai pensato) ma anche ad alcune significative guide di alpinismo.

Lui che aveva la montagna nel cuore prima che negli occhi e amava ripetere come la montagna fosse la sua vita, lui che con i suoi scarponi era salito oltre mille volte su vette regionali e non solo, ma che confessava di aver iniziato a scalare quasi per caso a Cervinia quando - diciannovenne - si trovò a dormire insieme a due guide alpine che lo convinsero che era un peccato guardare le montagne solo dal basso. Lui che era stato capace di firmare tante nuove vie tra cui la prima salita italiana della Bonatti al Gran Capucin e dell'Alberini al Dente d'Herens in un solo giorno ma che in un'intervista aveva confessato di aver arrampicato «un po' con tutti, anche con cani e porci».
Una vita segnata anche da momenti tragici come quel luglio del 1970 quando tentò la Nord dell'Eiger in compagnia di Angelo Ursella, ma dovette rinunciare a causa di un incidente che si portò via uno dei più grandi solitari friulani.
Vent'anni dopo fu l'Everest a respingerlo, cosa che non vide mai come un fallimento: a fermarlo sulla vetta più alta del mondo a quota 8mila, il regolatore alla bombola di ossigeno che non si allentò e allora «per non rischiare» De Infanti decise di abbandonare l'impresa e tornare a valle ringraziando la montagna «per avermi dato la possibilità di colloquiare con lei» e gli amici che «nei pascoli del cielo, mi hanno tenuto d'occhio e impedito di fare la monata fatale».

Con De Infanti, che negli ultimi anni si era impegnato per la formazione di figure professionali per il lavoro in montagna, se ne va una delle ultime anime genuine della montagna carnica e con lui i tanti aneddoti che era solito raccontare, lui che non mancava mai di ricordare come fosse necessario riappropriarsi del proprio essere e ritornare a essere montanari anche in paesini piccoli come Ravascletto «un paesino piccolo, ma dove mi sento in cima al mondo».
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