UDINE - Non fu né omicidio né suicidio: morì per infarto, finito in coma etilico. Lo ha stabilito, chiudendo definitivamente la vicenda, l'esame del medico legale in base al quale la Procura di Udine ha disposto l'archiviazione dell'inchiesta e anche della posizione dell'unico indagato, J.K.A., un connazionale della vittima, risultato del tutto estraneo alla morte dell'amico, anche in base alle indagini eseguite nei mesi successivi dagli agenti della Squadra Mobile, coordinata dal dottor Massimiliano Ortolan. Al centro del giallo un uomo un 33 anni, Kwasi Agyemang, un cittadino di nazionalità ghanese regolarmente residente in Friuli, a Udine, in centro città, in una abitazione di via Muratti.
Trovato riverso in una pozza di sangue
Era la mattina del 23 aprile scorso quando l'uomo, un operaio senza precedenti penali, che conduceva una vita normale, fu trovato morto riverso in una pozza di sangue dietro alla porta di casa dove viveva con un connazionale, l'unico che poi fu indagato e che aveva detto subito di non aver sentito nessun rumore quella notte, perché dormiva profondamente al piano superiore.
La bibbia insanguinata
Si pensò subito a un omicidio perché sul corpo del 33enne erano state trovate lesioni da taglio al collo e all’addome. L'uomo pareva quindi essere stato ucciso. Era stato trovato con in mano una edizione inglese di una bibbia, insanguinata. La casa era chiusa dall'interno e la salma era a terra, tra la porta di ingresso e un portone esterno, in una sorta di bussola. Sembrava il 33enne stesse tentando di scappare da un aggressore. Furono trovati anche due coltelli insanguinati.
Gli accertamenti eseguiti dalla Squadra Mobile della Questura di Udine, di seguito hanno fatto emergere un quadro diverso, quello di suicidio. Adesso la conferma arriva pure dalle indagini medico-legali: il 33enne è morto per scompenso cardiocircolatorio, un infarto che lo ha stroncato dopo una eccessiva assunzione di alcol. Era infatti in stato di gravissima alterazione alcolica. Al tempo nessuno dei testimoni sentiti dalla polizia di Stato aveva dato però indicazioni circa l'assunzione, nelle ore immediatamente precedenti la morte, di una grande quantità di bevande alcoliche; evidentemente il 33enne aveva bevuto non visto o di nascosto. Le ferite che il ghanese si procurò da solo, al collo e all'addome, non erano profonde ma superficiali; non avrebbero potuto causare la sua morte.
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