Il tumore si combatte con il rame: si fa "mangiare" dalle cellule impazzite e le distrugge

Giovedì 27 Settembre 2018 di Mauro Favaro
Valentina Gandin
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TARZO - Riesce a ingannare i tumori. Si fa mangiare dalle cellule impazzite facendo credere loro di essere cibo attraverso il quale crescere e proliferare. Ma una volta all'interno inizia a distruggerle. In modo selettivo. Senza cioè toccare le parti sane. Funziona così, con la necessaria semplificazione, la nuova molecola intelligente a base di rame messa a punto da Valentina Gandin, 38enne originaria di Nogarolo, assieme ad altri colleghi dell'Università di Padova e in collaborazione con l'Università di Camerino.  Dopo il diploma di liceo scientifico conseguito al Marconi di Conegliano e la laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche, nel 2006 Gandin ha iniziato la sua attività di ricerca nel dipartimento di Scienze del farmaco dell'ateneo patavino. E da allora non ha più smesso di sviluppare questa molecola. «È un piccolo passo sottolinea lei con l'attenzione di chi non vuole illudere persone  che stanno soffrendo la strada è ancora lunga». La molecola a base di rame è il frutto di una intesa ricerca durata 12 anni, e ha già dimostrato di essere efficace per alcuni tumori solidi. Le prospettive sono più che mai concrete. Il brevetto gestito da Unismart, società dell'Università di Padova che si occupa delle attività di trasferimento tecnologico, è stato preso in licenza da una società farmaceutica americana, la Sapir. L'obiettivo è arrivare a produrre su larga scala nuovi farmaci antitumorali contenenti la molecola inventata dalla ricercatrice trevigiana.
Dottoressa Gandin, innanzitutto, come è nata questa nuova molecola? 
«Nasce da una intuizione risalente al 2006, quando ho iniziato il dottorato di ricerca con la professoressa Cristina Marzano. L'intuizione si basava sul fatto che il rame, essendo un metallo endogeno, essenziale per l'organismo umano, potesse essere una base perfetta per la preparazione di composti a base metallica meglio tollerabili rispetto a quelli attuali a base di platino, metallo non endogeno che conferisce ai composti un'elevata tossicità». 
Come funziona?
«È una molecola che abbiamo definito smart. Intelligente. Perché inganna il meccanismo fisiologico dei tumori. Agisce come un Cavallo di Troia. Con questo composto riusciamo a veicolare il rame in maniera selettiva nelle cellule tumorali. Questo in realtà non nutre le cellule ma, al contrario, una volta dentro, è in grado di generare una complessa cascata di segnali che porta alla distruzione delle cellule stesse, comprese quelle refrattarie alla classica chemioterapia. In buona sostanza, le cellule tumorali credono di alimentare la propria crescita, invece vengono eliminate».
Quali sono i prossimi passi sul fronte della sperimentazione? 
«La sperimentazione ora è in mano alla società farmaceutica americana che ha preso in licenza il brevetto. Per prima cosa validerà i risultati che abbiamo già ottenuto, riproducendo la molecola secondo quanto previsto dalle agenzie. La prospettiva è che il farmaco prodotto possa essere testato anche sull'uomo. Serve quindi una lunga serie di valutazioni e di prove. L'idea è di arrivare al reclutamento di pazienti per iniziare la sperimentazione clinica in tempi ragionevolmente brevi. Abbiamo fatto una fase pre-clinica con buoni risultati, già abbastanza avanzati. Dovesse andare tutto bene, si punterà alla commercializzazione dei nuovi farmaci antitumorali. Ammettendo anche che la resa sia ottima, non si parla comunque di meno di 4 o 5 anni».
In attesa di capire come andrà la sperimentazione, avete già raggiunto un risultato enorme
«Si, molto importante. E con finanziamenti ridotti. L'Università di Padova ci ha forse creduto molto di più di tanti altri enti finanziatori. Per noi è davvero un ottimo risultato. Ma ricordo che è solo un punto di partenza. Non voglio che le persone vengano illuse». 
Un'attenzione che a fronte del successo professionale le fa più che onore
«Quello che mi fa soffrire molto è che a volte ricevo delle telefonate da persone che hanno visto il mio nome e che hanno un paziente oncologico in famiglia. Mi chiedono disperatamente come possono fare. La cosa, purtroppo, non è così immediata. Il nostro è un piccolo passo su una strada ancora molto lunga. Però è vero che dà speranza. Se potrà migliorare anche solo la vita di alcune persone, per noi sarà una soddisfazione enorme. Andrebbe a dare valore a quello che facciamo ogni giorno. Non solo dal punto di vista professionale. Se abbiamo scelto di fare questo lavoro è perché le nostre attività abbiano un fine comune».
Mauro Favaro
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Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 12:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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